La sicurezza nelle gare ciclistiche è un terreno molto delicato per gli effetti che essa contiene:
- il dolore per chi ne resta colpito in modo grave da incidenti o cadute;
- il disagio e lo sconforto di quegli organizzatori e direttori di corsa che agiscono per pura passione e voglia di fare ciclismo;
- l’effetto negativo che simili fatti riversano sulla promozione di una disciplina che l’opinione pubblica potrebbe percepire come troppo rischiosa o non sufficientemente governata.
Aspetti che stanno dentro a pieno titolo in fatti recenti come quelli della ciclista diciannovenne Alice Toniolli, finita il 14 agosto contro il muretto di un ponticello mentre disputava il “62° Circuito dell’Assunta”, e quello avvenuto il 4 settembre durante la prima tappa del Giro della Lunigiana, dove lo sloveno Jakob Omzrel ha letteralmente centrato la scorta tecnica Marco Funicolo (G.S. Capannolese) posizionata al centro della carreggiata per segnalare lo spartitraffico e la rotonda posti alle sue spalle. In entrambi i casi con conseguenze fisiche molto pesanti, che non possono che suscitare la nostra vicinanza ed il nostro incoraggiamento per una rapida e totale guarigione.
Così come non possiamo che provare partecipazione al rammarico degli organizzatori e dei direttori di corsa di questi due eventi, dove la loro responsabilità (come per tanti altri casi simili) viene messa sotto pressione per fatti verosimilmente del tutto fortuiti. Senza con questo sottacere che in parecchie gare si potrebbe fare molto meglio e che in talune aree del nostro paese ancora tanti sono i coni d’ombra. In particolare perché, nonostante gli sforzi formativi della Federazione, è totalmente assente, diciamo pure rifiutata, una benché minima attività di controllo da parte delle strutture e commissioni competenti.
Tuttavia, onde evitare che anche noi addetti ai lavori si resti preda di un immobilismo schiacciato tra il puro fatalismo da un lato e il rigorismo incompetente da social dall’altro, qualche riflessione s’impone, ovviamente solo per trarne considerazioni di ordine generale e non certo per esprimere giudizi che non ci competono.
Il caso della giovane Toniolli conferma l’esigenza di come, in particolare, i direttori di corsa siano chiamati a considerare con ogni attenzione, oltre alle linee guida sportive, tutte le prescrizioni che le autorizzazioni e i vari nulla osta dei proprietari delle strade impongono, specie quelle che fanno riferimento alla presenza di insidie sul percorso. Aspetti dirimenti per le inchiesta che normalmente vengono aperte dalle Procure della Repubblica per fatti gravi di cui si ritenga indispensabile l’accertamento di eventuali violazioni e relative responsabilità.
Questione che, ancora una volta di più, evidenzia quanto sia diventato complicato e rischioso fare il direttore di corsa, figura alla quale è demandata la responsabilità che tutto venga preventivamente messo in sicurezza, quando le migliaia di ostacoli a bordo strada e sulla carreggiata rendono il campo di gara una entità quasi indefinita, dove se si protegge una serie di ostacoli calcolando le dinamiche della corsa, restano poi scoperti infiniti altri punti dove per pura fatalità (caduta, sbandata, scivolamento, errore del singolo corridore, ecc.) potrebbe materializzarsi la responsabilità giuridica di non averli protetti, con possibili conseguenze civili e penali.
Da questo punto di vista nei grandi Giri si possono osservare soluzioni interessanti e attrezzature straordinarie, ma per la maggioranza delle gare cosiddette normali, ben che vada, si è semplicemente fermi a qualche cartello, materassino e segnalazioni mobili quando i motociclisti della scorta se le possono permettere.
Sul direttore di corsa è stata caricata, in modo esclusivo, la responsabilità di tutto quel che accade durante lo svolgimento della gara, fino a stabilirlo per legge attraverso il Disciplinare. Può essere che ciò sia giusto e anche funzionale ad affermare il valore del ruolo ed il prestigio di questa figura. Ma una cosa è certa: a questa assegnazione di maggiore responsabilità, il movimento ciclistico, lo Stato e le amministrazioni pubbliche, nulla hanno saputo aggiungere nulla in più perché tale responsabilità possa essere gestita in condizioni di adeguata razionalità e tutela personale. Forse il problema non è stato neppure avvertito.
Diversa e più circoscrivibile invece la questione delle segnalazioni mobili ad opera dei motociclisti della scorta oppure ASA, quale ci è stata amaramente e drammaticamente proposta da ciò che è avvenuto al “Lunigiana”.
Ci possono essere modi più o meno prudenti o più o meno accorti nell’agire a seconda delle diverse circostanze, e in molti casi questo fa la differenza, ma non v’è dubbio che il motociclista in questione svolgeva una segnalazione che, oltreché opportuna, riproduceva nelle modalità e nel posizionamento né più né meno quello che viene insegnato nei corsi di formazione e convenzionalmente accettato e praticato nelle più svariate corse italiane.
Segnalazioni a volte rischiose per chi le fa, ma sempre mosse dal generoso desiderio – non lo si dimentichi – di evitare ai corridori i guai peggiori, inverando la missione di rendere e dimostrare che il ciclismo è una pratica sportiva sostanzialmente sicura, che merita di essere praticata nonostante le condizioni in cui è costretta a svolgersi. Un qualcosa tra l’altro, bene non scordarlo, che ha diretta attinenza anche con quello che è il grado di preparazione dei corridori e di ciò che viene loro insegnato di praticare.
Tuttavia, dopo questa recente esperienza, una riflessione sulle attuali modalità di segnalazione potrebbe essere saggio farla, probabilmente indispensabile farla. Al termine della quale, si potrebbe convenire che le segnalazioni degli ostacoli a centro carreggiata, dovranno avvenire esclusivamente prendendo posizioni che evitino all’operatore il rischio di essere letteralmente centrato dai corridori.
Riflessione che potrebbe comprendere anche l’opportunità, meglio dire la necessità, che le modalità adottate dalla FCI vengano riconvertite e uniformate a quelle volute dall’UCI, come la stessa ha più volte raccomandato nei suoi report di fine stagione sulla qualità dell’organizzazione delle corse in Italia. In tutto il mondo le segnalazioni vengono fatte con la bandierina triangolare gialla, strumento di avviso e al tempo stesso di indicazione della traiettoria da seguire per scansare il pericolo. Ma in Italia questa pratica, da molto tempo, la si è voluta abbandonare per sostituirla con l’uso della bandiera rettangolare arancio fluorescente, che molti sostengono non faccia capire bene da che parte stia il pericolo e che, in ogni caso, toglie il valore di convenzionalità e universalità che tali segnalazioni dovrebbero necessariamente esprimere.
Di questa incongruenza si preferisce non parlarne, ma non può essere nascosta, come nel recente caso del Giro della Regione Friuli Venezia Giulia, dove il presidente di Giuria, il turco Koray Cantez, si è esplicitamente lamentato nei confronti dei motociclisti per la pratica di segnalazioni a suo avviso inadeguate e non conformi a quelle UCI, aggiungendo il garbato invito ad adoperarsi nei confronti della FCI perché il problema venga risolto. Cose turche? Si vedrà.
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