UNA E TRINA. Quest’estate ci siamo scoperti un popolo di tennisti, dopo essere da sempre un popolo di santi, navigatori e poeti. Tutti a parlare di Sinner, che ha fatto di tutto per metterci nella condizione di. Ne parla anche Cristiano Gatti nella sua “stanza” su tuttoBICI di settembre, io mi limito ad aggiungere un elemento che francamente da autentico estimatore del tennista altoatesino mi ha profondamente colpito e rattristato. Ribadisco che non ho mai amato la gogna mediatica e ne riparlerò tra un attimo, ma scoprire che per il caso Clostebol (principio attivo presente nel Trofodermin) tenuto ben bene al riparo da occhi e orecchie indiscrete, si sia adoperata in difesa di Sinner un’avvocata che di nome fa Jamie Singer, dello studio londinese Onside Low e sia risultata al contempo anche l’avvocato dell’ente (ITIA) che fa i controlli antidoping per l’Atp e già che c’era ha fatto parte anche del panel del Tribunale (Sport Resolutions), non è stata una bella scoperta: avvocato PM e quasi giudice in un sol colpo. Però, mica male.
I CORRIDORI NON SONO SINNER. Vi ho detto di Cristiano e vi invito a leggerlo. L’argomento è di grande attualità e, francamente, mi sarebbe anche piaciuto vedere qualche reazione venire dal mondo della bicicletta, in modo particolare dall’associazione mondiale dei corridori (CPA), che dal caso Sinner avrebbe potuto prendere spunto e ispirazione. Invece niente, tutti zitti. Nessuno che dica: ma siamo tutti professionisti, c’è bisogno di una procedura antidoping unica per tutti. Niente, come se la questione stia a cuore solo a me. Un po’ come Totò quando prendeva ceffoni a ripetizione e non solo taceva, ma rideva a crepapelle. È storico “l’emisodio” (come diceva il Principe: per l’episodio): il principe della risata incontra un pezzo di giovanotto che era grande così e tutt’a un tratto lo affronta e a brutto muso gli dice: Pasquale! Figlio di un cane! E gli molla un sonoro ceffone. E lui – Totò - pensava tra sé e sé: chissà questo stupido dove vuole arrivare. Ancora: Pasquale, togliti il cappello! E giù un pugno in testa… e lui – sempre Totò - pensava: chissà questo stupido dove vuole arrivare. A quel punto Mario Castellani – uno delle più grandi spalle di Totò - gli domanda: ma perché non hai reagito? “Ma che me frega, non sono mica io Pasquale!”. La storia è uguale. I corridori non si sentono toccati, non sono mica Sinner.
FINO A PROVETTA CONTRARIA. Resto in argomento Sinner, storia che mi ha ricordato quella ben più dolorosa e drammatica di Marco Pantani. Me l’ha fatta tornare alla mente per quel senso di opportunità venuto meno il 5 giugno del 1999.
Come si ricorderà, Marco fu fermato per valori anomali, per un controllo sulla salute, quindi non per doping. Ematocrito alto, ovvero pericolo per l’atleta: obbligatorio fermarsi per quindici giorni in attesa di ripetere l’esame e, se i valori fossero tornati nel frattempo sotto la soglia del 50%, pronto a tornare alle corse.
Cristiano Gatti e Angelo Costa sono testimoni, perché già allora eravamo assieme in macchina quando quel giorno tornavamo giù da Madonna di Campiglio. In quella giornata convulsa e drammatica per il nostro beneamato sport si discettava sui modi che erano stati adottati per allontanare Marco: Cristiano - come leggerete anche in questo numero - era per la trasparenza assoluta. Io per la tutela di un ragazzo che in quel momento rappresentava non solo il ciclismo italiano, ma anche quello mondiale. Era un patrimonio da punire, ma in ogni caso da tutelare. Visto che la pena era perdere il Giro, non c’era assolutamente bisogno di infliggergli anche una ordalia su pubblica piazza. Lo si mandava a casa dando la possibilità al team di dire che Marco era impossibilitato a ripartire per una indisposizione: tonsillite (cit. Sinner, prima dei Giochi).
Invece no, si è voluto colpire duro, punire ed elevare Marco a simbolo del male: ne paghiamo ancora oggi le conseguenze. Questo volevano gli allora presidenti di Coni e di Federciclismo, Gianni Petrucci, elevato al soglio del Palazzo H a marzo di quell’anno, dopo lo scandalo dell’Acqua Acetosa (chiusa, per non aver controllato mai le provette del calcio, e dico del calcio, non del ciclismo) e il suo omologo Gian Carlo Ceruti, che si prestò e donò il vitello grasso per festeggiare il nuovo corso dello sport tutto (“io non rischio la salute” faceva parte di questo progetto).
Questo per dire che le attenzioni riservate a Sinner non mi hanno scandalizzato anzi, le preferisco di gran lunga al clamore di ragazzi dati in pasto all’opinione pubblica: c’è o non c’è il garantismo fino a prova contraria? In ogni caso punti di vista, ma quello che è assolutamente necessario e irrinunciabile è una uniformità procedurale e di giudizio, non solo tra i vari sport, ma tra tutti gli sport professionistici. Vorrei e auspico che tutti possano essere trattati allo stesso modo e soprattutto da un ente terzo che sia veramente tale. Se poi ce lo dicono a procedura conclusa come per Sinner, una volta accertata l’assoluta estraneità o la colpevolezza, a me va bene uguale. Vorrei una giustizia giusta, fino a provetta contraria.
Editoriale da tuttoBICI di Settembre