Madrid, ore otto di una serata invernale. Nella hall di un hotel vicino all’aeroporto di Barajas, Fabian Cancellara chiacchiera con alcuni membri dello staff della sua Tudor. Uno scambio di saluti si trasforma in un’occasione per scambiare qualche battuta, per chiedergli il suo punto di vista su questa stagione appena iniziata e di cui si sente già profumo di grandi classiche, terreno di conquista di quello che veniva chiamato – per la potenza devastante che era capace di scaricare sui pedali - Spartacus.
Cancellara quale sarà secondo lei il re delle classiche 2024?
«I protagonisti saranno gli stessi di quelli delle ultime stagioni. Non ci sarà un unico re, non si potrà dire che uno è più forte degli altri perché i grandi protagonisti sono corridori diversi come caratteristiche. Poi dipenderà anche dalle situazioni che si creeranno. Questo vale per Tadej (Pogacar, ndr), Van Aert, Van der Poel... Prendete la Sanremo, per esempio. È ancora una corsa per velocisti? O è più adatta agli scalatori, ai corridori da grandi giri? O agli attaccanti bravi a sfruttare le occasioni?».
Prima ha citato Van Aert, un corridore quasi sempre protagonista ma a cui spesso in passato è sfuggita la vittoria: cosa manca al belga per essere davvero un campione assoluto?
«Non so se corre troppo, se spende troppo durante la corsa. Forza ne ha, ma se poi ti trovi gli altri due diventa dura».
Restiamo in Belgio: Evenepoel è più corridore da classiche o da corse a tappe?
Pausa di riflessione, un lungo respiro. «In questo momento lo vedo più corridore da corse di un giorno, massimo da brevi corse a tappe».
Van der Poel?
«Forte. Nelle classiche del Nord è il punto di riferimento. Nessuno lo può mettere in discussione».
Pogacar verrà al Giro: come interpreta questa scelta? L’accoppiata Giro-Tour sembra un’impresa ai confini dell’impossibile.
«Perché?».
Perché è dal 1998 - Pantani - che non ci riesce nessuno.
«Pogacar può fare doppietta. Dipende dalla preparazione, le corse che farà prima, la squadra… Il percorso del Giro mi pare sia adatto al suo obiettivo».
E il corridore più forte da corse a tappe ora chi è?
«In questo momento mi pare che Vingegaard non si discuta. Lo ha dimostrato in montagna, a crono. Anche tatticamente è forte perché è un corridore che sa correre con pazienza sfruttando le occasioni».
In Italia a volte si paragona, come tipologia di corridore, Ganna a Cancellara. Un paragone corretto?
«Lui è Filippo Ganna, io sono io. Lui ha il suo stile. Ganna può vincere una Roubaix però non so se la pista è la strada giusta per arrivarci. Non dico che lui debba smettere con la pista, ma a questo punto della carriera si dovrebbe focalizzare sulle classiche. Anche se in parte lui questo già lo fa. Però mi pare di capire che la sua prima scelta resti la pista».
Com’è per Cancellara la sua nuova vita da dirigente di un team?
«Da corridore a dirigente non è stato un passaggio semplice perché smettere di correre in bici è un cambio di vita che coinvolge in modo diretto tutte le persone che ti stanno attorno. Cos’hai vinto, quanto hai vinto, quanto hai guadagnato non contano più. Quando smetti bisogna trovare un nuovo equilibrio di vita, una nuova identità. E riuscirci non è così semplice».
Quali sono oggi le sue soddisfazioni?
«Per me la cosa importante è che quando mi sveglio al mattino ho un obiettivo. So di dovere fare qualcosa, non solo andare in bicicletta. Ho bisogno di obiettivi, di fare qualcosa da portare avanti. La cosa più difficile è capire che, nonostante tu voglia fare mille cose, non sei capace di fare tutto. Mi confronto con gente che ha molta più esperienza di me. Da corridore contavano le gambe, ora la testa».
Il grande obiettivo della sua Tudor?
«Continuare quello che abbiamo iniziato. Possibilmente fare un passo avanti. Come organico l’abbiamo già fatto con l’inserimento di uomini importanti come Matteo (Trentin, ndr) in corsa e Matteo (Tosatto, ndr) in ammiraglia. Poi l’invito al Giro d’Italia è una grande soddisfazione. Qualcosa di speciale che dovremo onorare nel giusto modo».