SOFFI AL CUORE. IL CICLISMO DI UN RAGAZZO CHE AMA COME SI AMA A SAN VALENTINO

NEWS | 14/02/2024 | 17:20
di Gian Paolo Porreca

Venti anni fa, di San Valentino, festa romantica e peynetiana dell’ amore, quella notte quella deserta di baci, finiva nel 2004 tragicamente Marco Pantani.


Moriva, e il modo ancor ci offende, quel grande campione ciclista vincitore di Giro e Tour nello stesso anno, il '98, che già più corridore peraltro non era, al congedo dello sport e della vita pure, per gli effetti - come ribadiscono tuttora algide, con una ultima archiviazione, le Procure - di un cocktail micidiale di cocaina e psicofarmaci.


Scompariva, in una camera solitaria - e lui era lì da solo, con le sue ombre di tenebre alla Poe e i suoi graffiti alle pareti disperanti - di un residence di Rimini, oggi raso al suolo, che di floreale aveva di certo in epigrafe il nome solo, ‘Le Rose’.

Finiva 20 anni fa, grazie dei fiori, lui Capricorno ombroso e testardo del 13 gennaio 1970, il più straordinario ed amato interprete del ciclismo, non solo italiano, di quelle eccessive stagioni, vulnerate dal doping e dal' EPO, e in parallelo dei nostri più sofferti anni di appassionati illusi/disillusi.

Se ne andava dagli occhi e non dal cuore Pantani, lui ultimo nella storia a trionfare in una sola stagione al Giro e al Tour, lui già disceso dalla corsa vera dopo la squalifica (contestata sempre) a Madonna di Campiglio, al Giro del '99 che lo vedeva ancora in rosa, e la conseguente espulsione, devastante per il suo orgoglio dalla gara del cuore. Scompariva, in un noir da Malinverno fra pusher, escort, dosi improprie, volgere di avvocati, dove in ogni processo tessuto sulla fine del giovane uomo, non solo campione, che era Marco, sarebbe regnato iniquo il patteggiamento.

Tant'è, ma venti anni dopo - e non è un romanzo con il ritorno di Victor Hugo -, venti anni dopo Pantani e tanto dolore, e con tanto ciclismo su pagina e su strada in meno e un patrimonio sportivo e popolare nazionale, ad onta di un Nibali prima e di un Ganna poi, in cedimento oggettivo, venti anni dopo la sua tragedia, a chi legge ed è semmai più giovane, vorremmo consegnare come ricordo autentico l'immagine del Pantani più giovane. Il Pantani più bello, quello di trenta anni fa, prima della gloria suprema, quello ancora con i capelli, quello che al Giro del 1994 vinceva le sue prime tappe. All' Aprica, piegando Miguel Indurain e il Mortirolo, a Merano, solitudine solare di giugno, ed intimoriva il russo Evgeni Berzin, il leader deputato di quella edizione.

Quello era il Pantani vivo di un futuro che neppure avrebbe immaginato. Quello, l'esordiente di Cesenatico, lo scalatore che vien dal mare, il Pantani celeste che non era mica quello trovato in bianco e nero, del cupio dissolvi, a Rimini il 14 febbraio 2004.

Quello era e resta, basta con i dettagli sulla sua fine fosca, come sulle colonne di questo giornale e in cima ad un batticuore che sentivamo tanto leale, il suo e il nostro. Il ciclismo di un ragazzino che ama come si ama a San Valentino - ma lo sapete che aveva anche scritto una canzone da portare a Sanremo, e dedicata a Maradona, un giorno del '97 quando la fantasia era nel suo cuore titolare? - , quel Marco che non torna più.

Come ogni nostro amor segreto.

da ‘Il Mattino’

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