Altri tempi quando la presentazione del nuovo Giro movimentava il centro storico di Milano e un bel pezzo del bel mondo cittadino, come una particolare Prima Della Scala per gente più sportiva. Stavolta si emigra a Trento, certo non un'area depressa del ciclismo, però decisamente fuori dal centro dell'Italia che conta, che decide, che fa e che disfa. D'altra parte, il titolare della ditta, Urbano Cairo, come minimo ha risparmiato sui carissimi affitti milanesi, sfruttando l'ospitalità di Trento e dei suoi eventi festivalieri.
Benchè scodellato lontano dalla casa avita, il neonato si fa subito notare per una grande differenza di carattere e di lineamenti rispetto al fratello dell'anno scorso. Dopo la tremenda esperienza delle tre inutili settimane in attesa della cronoscalata finale, stavolta si prova a dare una mossa e una scossa un po' prima. Già il secondo giorno, arrivando a Oropa. E poi con una settimana iniziale nevrotica, che si chiude con tanto di arrivo in salita a Prati di Tivo.
A seguire, tanto per descrivere velocissimamente la creatura: prima di tutto, sopra tutto, dose da cavallo di cronometro. Se non sbaglio i calcoli, 37,2 da Foligno a Perugia e 31 da Castiglione a Desenzano, in totale fanno 68,2. E' una vecchia questione: per me la crono serve ed è spettacolare, trattandosi dell'esercizio più puro e più sincero del ciclismo a trazione umana, ma in questa quantità diventa troppo invasiva. Rischia di uccidere, più che di movimentare la classifica. Opinioni. E resta pur vero che ultimamente a certa gente - tipo Vingegaard – ne bastano molti meno, di chilometri, per mettere le pietre tombali, trattandosi di cronomen impareggiabili poi fortissimi in salita. A proposito della quale, la salita, si profila inquietante e sinistra nella solita terza settimana, in particolare con gli arrivi di Livigno la domenica 19 (all'indomani della crono!), con quello del mercoledì 22 (Brocon) e con la ormai tradizionale sfida finale del sabato, in questo caso doppio Monte Grappa, soluzione pensata per regolare gli ultimi conti, se mai restassero aperti, prima di andare a far bisboccia sui Fori Imperiali di Roma.
Più o meno, questo l'identikit geografico. Puntualmente, la domanda che arriva subito guardandolo ancora in culla, è la domanda di sempre: che Giro sarà? Mi rifiuto di ripetere come tutti gli intervistati che sarà duro (mai sentito un cane, negli ultimi cinquant'anni, dire anche solo per sbaglio Giro ridicolo, Giro pietoso, Giro facilissimo). Ma mi rifiuto soprattutto di esprimere opinioni di natura estetica, bel Giro brutto Giro. Basta, i tempi sono talmente cupi che soltanto una kermesse di luci e lustrini può mascherarli come cerone di scena.
La cosa da dire, stavolta, più che mai, è una sola: giudizio sospeso, giudizio impossibile, fino a quando non si saprà con certezza chi lo correrà. E' questo il nocciolo della questione. Provo a essere più diretto: se questo percorso se lo spupazzassero – per dire – Vingegaard e Pogacar, sarebbe bellissimo a prescindere (con tutta quella crono, direi comunque Vinge). Se invece – sempre per dire – vertesse sul duello (dico a caso) Ciccone-Hindley, ognuno comprende che non sarebbe lo stesso.
Purtroppo al momento non c'è niente che lasci sognare cose grandi. Tutto, anzi, sembra girare al peggio. Vinge e Pogacar si sono condannati a ritrovarsi per la sfida di luglio, stessa spiaggia stesso mare come i Peynet di Riccione. In aggiunta, pure Roglic cambia squadra proprio per avere più spazio al Tour, che vuole vincere in una carriera inesorabilmente accorciata, per cui il ritorno a difendere la sua ultima maglia rosa si profila probabile almeno quanto la ricrescita dei capelli di Garzelli. Se vogliamo poi dire che magari torna Thomas, personalmente qui mi arresto e faccio a tutti i migliori auguri.
Davvero io non so cosa sperare. So però che qualunque uomo, più o meno, ha il suo prezzo. Mettere sul tavolo un bel pacco di bigliettoni, alle volte, induce alle più inattese sorprese. Alle più impensabili strategie. Ma per convincere i migliori su piazza, stavolta ne servono tanti, tantissimi, una cifra. Ha voglia Cairo di indurre in tentazione i numeri uno del ramo? Possono suonarsela a cantarsela, a Trento. Ma per dire se il Giro 2024 è bello o brutto, facile o difficile, duro o molle, bisogna solo aspettare la risposta a questa semplice domanda. Il resto è salotto.