Paolo risponde dalla bici, in faccia il vento amico della costa livornese: «Arrivo a casa e parliamo». Paolo è Bettini, campione olimpico di ciclismo su strada nel 2004 ad Atene, due volte campione del mondo (2006 e 2007), una volta secondo. E per quattro edizioni, dal 2010 al 2013, anche ct della Nazionale. Nessuno meglio di lui, dunque, può inquadrare la corsa iridata che si correrà domenica in Scozia, da Edimburgo a Glasgow: percorso e clima da classiche nel Nord anche se siamo ai primi di agosto come non accadeva dal 1972, e lui sì che se ne intende di classiche.
Vorrebbe essere in Scozia, Bettini?
«Diciamo di no. Mi è rimasta la passione, esco un paio di volte a settimana per piacere, ma senza esasperazioni»
Che rapporto ha ora con il ciclismo?
«Lo guardo, certo, ma se mi perdo una corsa non faccio un dramma. Domenica invece lo seguirò, certo, sto organizzando a casa mia il pomeriggio con gli amici».
Bettini ha un suo favorito?
«Io credo che possa essere l’anno di Van Aert. Che avrà l’appoggio di Evenepoel: sono sicuro che lui scatenerà la bagarre, magari con un attacco da lontano, a cui potrebbe partecipare lo stesso Van Aert. Quelli sono capaci di tutto».
Perché Van Aert?
«Perché è uscito bene dal Tour, perché ha scelto di lasciare la corsa francese qualche giorno prima e questo gli ha consentito di non spendere fino alle ultime energie: so che cosa vuol dire perché è una scelta che adottai anche io. E perché è appena diventato padre ed è un’emozione che ti mette le ali».
Che tracciato è quello di Glasgow?
«Sento dire che è piatto, ma non è piatto per niente. Mi ricorda Madrid 2005: vinse Boonen, ma in volata arrivarono in 25. Ed è lungo 272 km, non uno scherzo. Per questo, ripeto, mi aspetto gli uomini da classiche: Van Aert, Van der Poel, Pogacar, Evenepoel, non so chi altri si possa inserire tra questi»
E ci sarebbe anche l’Italia: ha detto pochi mesi fa che abbiamo solo Ganna, oggi.
«Lo ripeto. Inutile fare gli ottimisti quando le cose non vanno. Non possiamo consolarci con la maglia a pois di Ciccone. E ora che abbiamo Ganna che cosa fa la Federazione internazionale? Riunisce tutte le gare, pista e strada, negli stessi dieci giorni e dopo anni in cui si è spinto sul ciclismo multidisciplinare, costringi un atleta di vertice a scegliere. L’Uci ha fatto una grandissima... fesseria».
D’accordo con le convocazioni del ct Bennati?
«Ho fatto quel lavoro e capisco le difficoltà: sono estremamente d’accordo con Daniele. Se ha scelto questi, ha in mente un film preciso di gara. Da esterno e se non avessi mai fatto il ct, potrei chiedere perché non c’è Diego Ulissi. Ma un tecnico deve creare il miglior gruppo e io non posso sapere dei rapporti interpersonali attuali tra i corridori».
L’ex ct Antonio Fusi quando l’Italia non aveva cronomen diceva che una parte della colpa era anche delle mamme.
«La mia chiave di lettura è un’altra: in Italia non abbiamo più le grandi squadre. Una volta la critica diceva che passavano professionisti cinquanta ragazzi ogni anno e poi si disperdevano. Ma otto o dieci discreti saltavano fuori, e due o tre vincenti. Ora che non abbiamo i grandi team, andare a piazzare i nostri giovani nelle squadre straniere è dura. Il nostro dilettantismo, e il Giro Next Gen lo ha evidenziato, è fossilizzato su vecchi schemi. Alcuni spendono soldi per portare i ragazzi in altura perché le squadre pro’ vanno in altura. Ma sono quei ragazzi che quando gli dai una tappa sullo Stelvio, unica salita di giornata, si attaccano alla macchina. E vengono mandati a casa... (riferimento ai 24 corridori squalificati per traino a metà giugno, ndr). Prima insegnagli il mestiere, dai».
Quindi è la scuola che latita?
«Ai miei tempi direttori sportivi come Massini, Fusi, Locatelli, non ti facevano attaccare alla macchina. Se non eri un professionista già da dilettante tornavi a casa in bicicletta dal ritiro. Ma il ragazzo medio attuale mi sembra che non abbia voglia di soffrire»
Proprio al Messaggero, Eddy Merckx ci disse ad aprile: l’italiano non vince più perché è pigro.
«Certo, sono tutti sui social, tutti attaccati a Instagram per apparire e poi c’è poca sostanza. E l’Italia soffre. Ma purtroppo il fattaccio dello Stelvio non ha poi portato la federazione a dire: fermiamoci, analizziamo la situazione, vediamo che cosa ci sta sfuggendo. La giornata è passata come tante altre, non è successo niente».
Un’analisi dura.
«Bisogna partire da un’autocritica seria. Al Giro Nex Gen hanno sbagliato tutti: sembrava la sagra del fancazzismo, proprio nell’epoca dei social quando sai bene che ci sarà sempre qualcuno che ti riprende. La giuria chiude il verbale senza nulla da segnalare e alle 23 lo riapre perché ci sono i video... Ma dov’era prima? Come se un arbitro in campo prima fischia la fine poi riapre la partita in serata dopo aver visto in Tv che c’era un rigore.... Questo è il sistema Under 23 italiano, dove su sei squadre mandate a casa, cinque erano italiane, su 32 corridori 27 erano nostri. Io federazione mi farei due domande.... E così come faccio a convincere una grande squadra a prendere tre italiani perché sono forti?».
Ma allora Bettini quando torna nel ciclismo?
«Per rientrare e mettermi in discussione, dovrebbe spuntare un progetto solido con orizzonte a dieci anni, non a due o tre».
da il Messaggero