Non è la prima volta che accadono fatti di questo genere e sinceramente sorprende che l'Uci e le Agenzie preposte al controllo antidoping non abbiano predisposto un "protocollo del buonsenso". I fatti risalgono alla scorsa settimana e li ha rivelati il giornalista Carlos de Ándres sulle frequenze dell'emittente spagnola Teledeporte. Il protagonista involontario della vicenda è Javier Romo, corridore della Astana Qazaqstan che nella terza tappa della Itzulia Basque Country è stato costretto al ritiro a causa di una caduta che gli ha provocato quella che all'inizio sembrava solo una copiosa emorragia nasale.
Accudito dai sanitari della corsa, Romo è stato poi portato all'ospedale di Guipuzkoa per essere sottoposto ad una trasfuzione di sangue. Il corridore ha poi confermato via social di aver riportato una frattura alla mascella e una perforazione con perdita di liquido cerebrospinale causata dal tamponamento nasale, lesioni che lo terranno lontano dalle corse per alcune settimane.
Fin qui tutto normale, se non fosse che all'ospedale si sono presentati gli ispettori dell'Uci per un controllo antidoping, dopo aver vanamente suonato al campanello di casa Romo, anche perché il ventiquattrenne corridore - in un momento di comprensibile emergenza - non aveva evidentemente aggiornato la sua reperibilità sul sistema Adams.
Nonostante le sue condizioni fisiche, le lesioni e la trasfusione subita, il malcapitato Romo ha dovuto "sacrificare" campioni del suo sangue per espletare il controllo antidoping.
Davvero impossibile per gli ispettori, in casi come questi, applicare un "protocollo del buonsenso" e tornare dopo qualche giorno?