Sarà per via della direttrice Alessandra Di Stefano, una dei nostri, sarà perché il materiale sportivo è ottimo ed abbondante, ma mai ho visto sulla televisione sportiva Rai così tanto ciclismo come in questi giorni e soprattutto in queste notti. La stagione su strada è cominciata in Australia, ormai appena dietro l’angolo, per uomini e donne, nessun letargo invernale, nessun reportage trito e banale dalle antiche riviere di allenamento, e pazienza se nessuna commistione con il festival canzonettaro di Sanremo. Però già abbastanza strada e intanto molta pista, anche se in velodromi piccoli piccoli (ma perché non provare a far gareggiare i pedalatori in senso orario? magari ci sarebbe un nuovo divertimento, almeno per i primi tempi, quelli dell’assuefazione). E moltissimo bellissimo ciclocross, con grandi stradisti e stradiste di Belgio, Olanda e Inghilterra e con tanta gente ad applaudire, spesso sotto la pioggia o la neve. E poi le sagre della mountain bike. E insomma la sensazione che il ciclismo, o i tanti ciclismi che compongono questo sport, possa vivere bene di suo senza accorgimenti televisivi speciali, come le riprese che sempre più spesso riguardano ed evidenziano - si pensi al calcio -persino più gli spettatori che gli attori della contesa, vedasi il Mondiale in Qatar, o addirittura con la confezione di partite finte, tipo la recente sfida in uno stadio saudita fra la compagine parigina di Leo Messi e quella locale di Cristiano Ronaldo: nessun vero agonismo, tanti gol, pochi ma ricchi spettatori (pochissime spettatrici, si sa il triste perché) felici e contenti. Il fotoshop, diciamo, del calcio internazionale ha riguardato anche la finale della Supercoppa europea nell’Arabia Saudita, con l’Inter che ha vinto trionfalmente (salvo poi perdere in campionato contro l’Empoli a San Siro) e il Milan al quale non ha importato poi troppo della sfida, e con dollaroni per tutti e due i club. E sempre un tipo di riprese che privilegia la macchiettistica, il sensazionale ad ogni costo, sullo sport. Meglio un giocatore che si gratta l’inguine, insomma, che uno che sprinta in profondità.
Il ciclismo è finito anch’esso in quei posti, ma con prove così irreali, senza pubblico, da non lasciare segni: laggiù e spero nello stesso ciclismo. Il fatto è che in tv il ciclismo mi appare sempre bello: si capisce che sono un innamorato che non fa testo, ma davvero mi sembra che lo sport puro e semplice si stia rifugiando dalle nostre parti, almeno per quelle che sono la tradizione e la sua traduzione più popolare, appunto quella televisiva. In attesa di vedere il fotoshop della grande atletica, si è constatato che anche il nuoto è ormai preda della spettacolarizzazione a tutti i costi, persino con enfatizzazione di balletti acquatici ora anche eseguiti da maschietti. E se presto in piscina compariranno le sirene non potrete dire che non vi avevamo avvertiti.
Anche il tennis, che in fondo registra tantissimi movimenti molto eguali uno all’altro, si sta spostando su offerta di situazioni burattinesche, isteriche, con primissimi piani di facce di giocatori ma anche di gente vip del pubblico che sa di essere ripresa e si atteggia ad hoc (intanto si registra il fallimento della Coppa Davis nuova formula, con partite protratte anche nella notte fonda). E avanti con il pattinaggio artistico che ormai è circo ed harem (bisex) insieme, e con il basket che è la noia dei troppi tiri, riusciti peraltro, da tre punti, con il gioco lontano dai canestri. E lo sci, quello alpino specialmente, che è tutto una serie di mossette recitate del prima e del dopo la calata a valle, quella che sembra sempre eguale, chiunque la faccia, uomo o donna.
Gira e rigira, c’è del discutibilissimo nuovo in tutto lo sport, compreso quello dei motori dove ormai il classico gran premio non basta più, e presto ci sarà la prova con nel circuito dinosauri da scavalcare. Intanto si fa chez nous messianica l’attesa della grande stagione europea ciclistica della strada, e peccato che non si riesca a scrutare all’orizzonte qualche grande interprete italiano. Ma la certezza è che saranno belle corse, belle da vedere persino in tv con frequentazioni di antichi sentimenti, con sano pensierume classico, con sicuramente antiche belle attese. Mica è poco. Lo sport tutto o quasi sta spostandosi davvero in un metaverso strafinto, il ciclismo può e deve ancorarsi alla poesia sua residua, che è molta, e trasferirla persino su sue nuove specializzazioni.
Mica è poco, anzi è molto, e può diventare un tutto. Se i Giochi Olimpici stanno pensando di liberarsi del ciclismo su strada troppo impegnativo e gravoso ai fini delle riprese, o di farlo disputare su ridicoli circuitini comodi per l’installazione di poche telecamere fisse, il ciclismo deve trovare il coraggio di liberarsi dei Giochi olimpici troppo spettacolarizzati. Non si vive di solo show, anzi.
da tuttoBICI di febbraio