Germano Bovolenta, collega alla “Gazzetta dello Sport”, spiegava come Claudio Gregori, prima di immergersi negli archivi – pardon, centro documentazione – del giornale, indossasse i paramenti sacri. Non era vero, però aveva ragione: perché Gregori aveva questa capacità, forse questa missione, di introdursi nei misteri del passato, scavare nei sacri testi, estrapolare dati e resuscitare storie dimenticate o trascurate o ignorate. Un sacerdote.
Così, per far risorgere Learco Guerra, ci siamo divisi: il sacerdote Gregori si è tuffato nei Giri e nei Tour, nei Mondiali e nelle classiche, e il chierichetto Pastonesi si è dedicato anche ai testimoni dell’epoca, quelli che potessero ricordare e raccontare. E’ un compito che mi appassiona. Occasioni, dettagli, circostanze, frangenti, punti di vista, a volte soltanto uno sguardo o una parola. Da cogliere, da fermare, da tramandare.
Così ho sentito Luigi Roncaglia, mantovano, vicecampione olimpico e due volte campione mondiale nell’inseguimento: “Indossavo la maglia Ozo Learco Guerra con grande orgoglio, ma pedalavo su una Chesini, usata, fabbricata a Verona, acquistata in un negozio di Villafranca. Guerra era un personaggio inarrivabile. Lo incontrai un paio di volte, significava salutarlo, perché di più non si osava, a definirlo timore reverenziale è poco, la mia era una rispettosa paura”.
Così ho ascoltato Marino Vigna, da campione olimpico a Roma 1960 a direttore sportivo di Eddy Merckx: “Giro d’Italia 1963. Primo giugno, quattordicesima tappa, la Saint-Vincent-Cremona, 260 km. Primo io in volata e Balmamion in maglia rosa. Il giorno dopo si corre la Mantova-Treviso. Prima della partenza il gruppo è chiamato a inaugurare la dedica a Guerra del velodromo in cemento realizzato all’interbo dello stadio di calcio, a sua volta dedicato a Danilo Martelli, mantovano del Grande Torino. Per la foto siamo chiamati io e Balmamion. Un grande onore”.
Così ho telefonato a Gianni Motta, primo al Giro d’Italia 1966: “Era l’inverno 1959-1960. Esordiente nella Faema, vengo chiamato per partecipare a un raduno con i professionisti a Salò. Ed è lì che incontro Guerra. Io, un bambinetto, lui, quasi un nonno. O almeno così mi sembra. Per me è un premio, un privilegio, un regalo, un onore. Una volta mangio anche con i corridori. E con i corridori torno a casa, in bici, sotto l’acqua, felice e sognante”.
Così mi sono ricordato dell’astrofisica Margherita Hack: “Una volta, a Firenze, Campo di Marte, lo vidi. Mi sembrava un omone. Gli toccai un braccio, come se fosse Padre Pio. A quel tempo si chiedeva a tutti: ‘Sei per Binda o per Guerra?’. Io lo chiesi anche a Aldo, al Bobolino, quando quel ragazzino mi offrii di giocare a palla con lui e i suoi amici, anche perché, a dire la verità, la palla era mia. Io avevo 11 anni ed ero per Binda, Aldo ne aveva tredici ed era per Guerra. Siamo rimasti insieme tutta la vita, fino all’ultimo giorno”.
(fine della seconda puntata – continua)
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