Provate a pensare a un velocipedista che, curvo sui pedali affronta le strade pessime e dissestate del Nord Est fine '800 a pochi passi dal confine austroungarico. Treviso Pordenone e ritorno, 120 chilometri percorsi a quasi 27 all’ora. Un calesse andava molto più adagio; un tiro a quattro e un cavallo “a carriera” avrebbero impiegato più tempo. Una locomotiva a vapore viaggiava appena più veloce ma non possedeva certamente la duttilità di manovra del “bicicletto”.
L’atleta è Carlo Braida, interprete della sua forse più nota performance. E’ in sella al suo “safety bicycle” Humber Racer, con la trazione a catena e due ruote di ugual diametro che, progressivamente, stava sostituendo, per semplificare, il biciclo con pedali fissi sul mozzo anteriore del “ruotone”. “Atleta” per la prima volta nel senso moderno del termine perché la sua preparazione è all’avanguardia e consiste nella corsa in salita e pattinaggio; nel periodo agonistico usa le ripetute, il massaggio e studia l’alimentazione più consona e redditizia per il rifornimento in gara. Intelligente, arguto, polemico e in parte sganciato dalla sua condizione nobiliare e aristocratica, Carlo Braida partecipa alle prime corse sotto lo pseudonimo di “Lucio” e, a causa di questa passione per le due ruote, viene scoperto e “diseredato” dal padre, il conte Gregorio De Braida, facoltoso possidente e commerciante.
Studente di legge all’Università di Bologna, si mantiene agli studi universitari con i premi conquistati pedalando e partecipando attivamente alla vita sportiva della vivace città felsinea, essendo infatti annoverato tra i fondatori e competitori del Veloce Club Bolognese. Conseguita brillantemente la laurea dà vita all’inizio ad una attività agonistica breve ma di alto livello passando dalle piste friulane a quelle piemontesi e lombarde, dove incrocia i pedali con i campioni dell’epoca.
Desta stupore l’uso da parte sua di rapporti molto agili, addirittura da metri 4,75 con i quali stabilisce anche due record mondiali ufficiosi: dell’ora (35,100) e dei 100 chilometri (3h e 27’). Con queste credenziali dà del filo da torcere ai francesi Cottereau, Cassignard, Medinger, maestri della pista, ma trova anche il tempo di surclassare sul miglio l’americano Robert Davis, un pioniere dalla chiara fama.
Sono anni di evoluzioni epocali per le due ruote che incontrano anche lo pneumatico in sostituzione della gomma piena mentre fioriscono studi ed esperienze sulle diverse tipologie di trasmissione. Nonostante i suoi non facili trascorsi con la stampa sportiva, viene osannato tra i vari personaggi pubblici come Mascagni e Sarah Bernhardt ed entra nelle grazie delle famiglie Agnelli e Bonacossa. Ma proprio nel fiore degli anni in piena baldanza atletica e un po’ a sorpresa, si smarca dal ciclismo pedalato e si propone come allenatore e procuratore. Chiusa la carriera ciclistica, Braida, sportsmen estroverso, irrequieto e sperimentatore, si interessa a qualsivoglia disciplina emergente: calcio, sci, golf, atletica, tennis, guidoslitta (antenata del bob) ma soprattutto automobilismo, pratica che, a causa di un grave incidente, lo porta a una morte tragica e prematura.
Ci piace pensarlo ancora, smilzo e curvo sul suo mezzo meccanico, a sfidare le buche dello sterrato sassoso, a litigare con la giuria o a discutere sulla supremazia del “bicicletto” nelle corse su strada di cui fu il primo entusiasta antesignano. Non è difficile sostenere che Carlo Braida, uomo baciato da una certa fortunata agiatezza ma soprattutto da un’importante ambizione sempre proiettata nel futuro, fu colui che tenne a battesimo il ciclismo delle corse in linea come lo intendiamo noi ora.
Marcello Bolletti
CARLO BRAIDA il conte dei record
120 pag. - euro 18
Alba Edizioni 3385294684- www.albaedizioni.it
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