Da solo, basco in testa, pantaloni tirati su, bici a mano: “La bici l’ho comprata, aspetto che mi dicano dove devo andare”.
In due, caschi in testa, in piedi sui pedali, in salita: il primo dice “La salita è bella perché dopo c’è la discesa”, il secondo precisa “Come la vita, che dopo c’è l’aldilà”.
In due, caschi in testa, in piedi sui pedali, ma in piano: il primo rivela “Guardo tutto con curiosità infantile”, il secondo ammette “Ci siamo dimenticati i pannoloni per il bambino che è in noi”.
E sì, è così. Perché in due, lei a piedi, foulard in testa, indice puntato, lo interroga “Dove vai?”, lui bici, con le borse a mano, casco in testa, si giustifica “A portare a spasso il bambino che è in me”.
Il bambino – quel bambino - compie, domani, ottant’anni, ed è in Francesco Tullio-Altan, semplicemente Altan, da scenografo e sceneggiatore a vignettista, umorista, autore, artista. E anche ciclista. Il papà del dio Trino, della cagnolina Pimpa, del metalmeccanico Cipputi, l’illustratore di Cristoforo Colombo e San Francesco, il commentatore dei nostri stati d’animo, anche quelli a pedali. Ironico, sarcastico, caustico. Secco, asciutto, diretto. Amaro, disarmante, folgorante. E certi suoi personaggi forse impotenti, ma sempre combattivi, mai rassegnati, comunque illuminanti. E certe sue atmosfere spesso leggere, sentimentali, poetiche. Pur in quei suoi ciclisti, cosce grosse e nasi forti, girovita abbondanti e occhi ittici, però irriducibili.
C’è l’Altan della “Pimpa in bicicletta” (Ediciclo, 2004), un cofanetto con 10 cartoline in cui compare la cagnolina che sembra indossare la maglia bianca a pois rossi del primo nella classifica dei gran premi della montagna al Tour de France (e con il commento di Giancarlo Pauletto). C’è l’Altan di “Tre uomini in bicicletta” (Feltrinelli, 2002), scritto da Paolo Rumiz, con le sue illustrazioni e le note tecniche di Emilio Rigatti, sono loro i “tre matti in mutande”, “la rispettabile maturità dei viaggiatori e le loro sacche da globe-trotter”, che lentamente affrontano duemila chilometri, fino a Istanbul, a forza di pedali. C’è l’Altan di “La strada per Istanbul” (Ediciclo, la prima edizione nel 2002, la nuova del 2022), il testo è di Rigatti, la copertina è sua. E ci sono anche le sue altre dieci copertine sempre per Ediciclo, da quel ciclista che non pedala, ma acrobaticamente volteggia, il piede sinistro sul perno centrale del manubrio, quello sinistro slanciato indietro, braccia danzanti, capelli al vento, nasone aerodinamico (da “Lo Zen e l’arte di andare in bicicletta” di Claude Marthaler, del 2010), fino a quei due, uno che recita “L’importante è partecipare” e l’altro che gli precisa “Sì, e che a tutti gli altri gli scoppino le gomme” (da “Il diario del gregario”, del 2004, modestamente mio).
Altan pedala nel mappamondo quotidiano. Considera, interpreta, commenta. E a parole, a immagini, a memoria, almeno per un attimo, lancia la fuga.
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