Il Tour de France femmes è alle sue battute conclusive, ultimi due giorni per la corsa della svolta, per una nuova era che ormai si è aperta, spalancata, che piaccia o no. A me piace un sacco, visto che da li provengo professionalmente, quando a metà degli Anni Ottanta cominciai a scriverne: era il ciclismo di Alfredo Bonariva, di Francesca Galli, Rossella Galbiati, Cristina Menuzzo e le sorelle Cappellotto, Alessandra e Valeria, ma anche di Monica Bandini e Mara Mosole di lì a poco sarebbe arrivata anche la mammina volante Maria Canins, che si trovò a lottare con Roberta Bonanomi e Imelda Chiappa, Elisabetta Fanton e Rosanna Piantoni, Bruna Seghezzi, Patrizia Spadaccini e Michela Tomasi. Poi vennero Nada Cristofoli, Lucia Pizzolotto e Gabriella Pregnolato. Tutte nipotine di un ciclismo leggendario e romantico, eroico ma anche deriso e in certi casi vilipeso. Tutte discendenti di Alfonsina Morini in Strada e Maria Longhi, Luigina Bissoli e Mary Cressari, Giuditta Longari e Elisabetta Maffeis, Carmen Menegaldo e Florinda Parenti, Paola Scotti (la prima campionessa d’Italia della storia) fino a Morena Tartagni, la prima capace di vincere medaglie iridate. Tutte discendenti di patron come Piero Antonini e Gaetano Clerici, Alberto Cogliati, Emilio Conti e Mario Crippa, Renato Ginofero e Walter Morlino, Antonio Rogora e Pino Santolin, Gian Mario Sottocornola, Claudio Terraneo e Claudio Vanuzzi. Tutti questi guidati e rappresentati da quello che io considero a tutti gli effetti il vero promotore e “papà” del ciclismo femminile: Alfredo Bonariva. Bene, queste ragazze correvano tra sghignazzi e incredulità, battute volgari e vaffa di ogni natura e tipo.
Mi scuso per questo preambolo lungo e faticoso, ma arrivo al punto, che poi in tutta questa storia è semplicemente una virgola: una precisazione. Leggo sui social commenti duri cattivi e a tratti volgari. Quello che mi colpisce è che sui social stranieri non c’è questo tipo di atteggiamento, ma è un fatto molto nostro, molto italico. Qualcuno potrà dirmi: embè, a noi il ciclismo femminile non piace! Certo, ne avete tutto il diritto, ma esentatevi dal guardarlo. Fate in modo di non insultare ragazze che ci stanno regalando uno spettacolo degno di questo nome. Cadono, sbagliano la strada, alcune sono poco elastiche e avvezze alla guida? Embè, ripeto, perché gli uomini non cadono e non sbagliano strada? Altroché se lo fanno!
Detto questo lasciamole crescere. Lasciamo che queste magnifiche interpreti facciano vedere di che pasta sono fatte. Io non le ho mai guardate facendo la differenza con quello maschile, ma semplicemente mi accosto a loro con il piacere di vedere uno spettacolo e vedere chi è la più brava.
Per questo mi sento anche di dire che negli ultimi anni hanno compiuto passi enormi. Il movimento italiano e mondiale è cresciuto tantissimo e, mettetevi il cuore in pace, cresceranno ancora di più. Diventeranno sempre più performanti. Invito pertanto i leoni da tastiera a imparare dal mondo che li circonda, dal grande popolo social che applaude senza offendere, ma un invito lo vorrei fare anche a tutti noi, a chi questo mestiere pratica, a chi è chiamato a informare per iscritto o via radio o tivù: giudichiamo le ragazze per le loro prestazioni, senza alimentare odi di genere. Senza creare steccati. Senza alzare muri. Senza continuare a intingere il pennino nel vittimismo da quota rosa o nel machismo da quote azzurre. In genere i cretini non hanno sesso.