C’è chi doveva stare zitto e chi invece avrebbe dovuto parlare. È il caso della direttrice generale dell’Unione Ciclistica Internazionale, Amina Lanaya, che si è lasciata andare su ardite strategie d’intelligence contro i bari nel ciclismo, e di tutte le componenti del ciclismo, che invece si sono fatte notare per il loro silenzio. Eccezion fatta per il pensiero a titolo personale di Gianni Bugno, perché dal “suo” CPA - il sindacato mondiale dei corridori - così come da tutti gli altri organismi mondiali che rappresentano, tutelano e danno voce ai Gruppi sportivi e organizzatori, il silenzio è suonato sinistro.
È stata chiaramente una nota stonata: per tutti. Sia per la direttrice generale che per le organizzazioni di categoria. Io, nel mio piccolo, la cosa non l’avevo fatta cadere, mettendo in evidenza su tuttobiciweb questa uscita infelice. Il Gianni Nazionale, anche. «Affermazioni così, da parte della Federazione internazionale, non sono piacevoli. Mettono un serio punto di domanda su tutto il sistema», ha detto senza tanti giri di parole il vincitore del Giro ’90.
Ma cosa aveva detto di tanto grave Nostra Signora del ciclismo Amina Lanaya? «Non credo che i controlli antidoping siano il principale strumento di lotta contro chi vuole imbrogliare - la dichiarazione al quotidiano Ouest-France -. Privilegerei l’intelligence e l’attività di investigazione. Sto per dire una cosa estrema: credo ci sia la necessità d’infiltrarsi. In gruppo, nelle squadre. E valutare la possibilità di pagare gli informatori. Giuridicamente possibile? È da vedere, ma è il solo modo di riuscirci e potrebbe avere un effetto dissuasivo».
Però, leggera. Detto questo, resta il però. Se questa teoria fosse uscita dalla penna o dalla bocca di un collega come Eugenio Capodacqua o Marco Bonarrigo, Cosimo Cito o Antonio Simeoli, se questo l’avessero scritto e pensato Gatti, Costa o Schiavon, apriti cielo! Si sarebbe gridato allo scandalo. Alla provocazione più assoluta da parte dei soliti giornalisti moralisti e beceri. Se poi quelli di Striscia la Notizia o delle Iene l’avessero fatto dire a qualche ex corridore pentito, non sarebbero mancate come da prassi le interpellanze parlamentari, oltre che le querele. Invece l’ha detto Nostra Signora del ciclismo e tutto si ignora. Non male. Tutto molto bello, per dirla con Bruno Pizzul. Mi piacerebbe solo capire il perché di tale silenzio: perché è consigliabile fare finta di nulla o solo per il timore di mettersi in cattiva luce? Ah, saperlo… Nel dubbio, meglio un bel tacer che non fu mai scritto. Taci, il nemico ti ascolta…
AUGURI. Qualche giorno fa, il 27 gennaio, giorno della memoria, abbiamo festeggiato Ugo De Rosa, 88 anni portati con la leggerezza di un ragazzino, un maestro che va ancora in bottega con l’entusiasmo di sempre e di tanto in tanto, quando se la sente e quando ne ha voglia, prende ancora tra le mani la saldatrice a TIG per lavorare quella lega leggera che prende il nome di titanio. Poi è stata la volta di Ernesto Colnago, che lo sopravanza di due: il 9 febbraio saranno 90! Un traguardo tondo tondo, per un altro pezzo pregiato della nostra manifattura made in Italy. Gente che ci ha saputo fare, con le mani e con la testa: sia Ugo che l’Ernesto. Un anno lo compie invece il numero uno del ciclismo italiano: Cordiano Dagnoni. Il genetliaco è fissato per il 21 febbraio, per il primo anno di presidenza. L’ho incontrato e intervistato per tirare le fila di una stagione che speriamo possa proseguire spedita senza più intoppi, senza più patemi di sorta per questioni pandemiche e quant’altro. Facciamo gli auguri a Ugo e a Ernesto, a Cordiano ma anche a Elia Viviani, che ha fatto 33 in attesa di portare sull’altare la sua Elena. Un augurio è anche per tutti noi. Ce lo meritiamo, e che la bicicletta ci renda liberi.
Editoriale, da tuttoBICI di febbraio