In bicicletta ci si dà del tu. Grandi e piccoli, professionisti e dilettanti, celebri e anonimi, muscolari ed elettrici, rasati e pelosi. Perché la bicicletta è un massimo comune divisore e un minimo comune multiplo, è un linguaggio vocale e gestuale, è un piccolo mondo antico eppure all’avanguardia, artigianale e multiculturale. Ci si dà del tu perché la fatica unisce e riunisce, il sudore affratella e assorella, la strada (ma anche i sentieri rurali, le ferrovie dismesse e le piste sugli argini) appartengono a tutti. La bicicletta fa gruppo.
Così Beccaris, vecchio ciclista nel senso del bottegaio che ripara e vende, aggiusta e assembla, inventa e trapianta, elabora e perfeziona, dà del tu a tutti i suoi clienti, un circobarnum di pedalatori acrobatici e resilienti, curiosi e fantasiosi, passionali e professionali. E così dà del tu a evoluzioni tecnologiche e strategie turistiche, filosofie urbane e terapie psicofisiche, viaggi spirituali ed esplorazioni musicali. Dà del tu anche ai suoi due creatori, lei è Alessandra Schépisi, accento sulla e, giornalista, lui è Pierpaolo Romìo, accento sulla i, operatore turistico, autori di un viaggio in bicicletta ma stavolta a parole, “24 storie di bici” (Il Sole 24 Ore/Radio 24, 292 pagine, 14,50 euro).
L’irreale (ma realistico) Beccaris – la sua officina è immaginata a Mantova, aperta il giorno prima della dichiarazione di austerity nel dicembre 1973, e mai così presa d’assalto come in questa epoca pandemica – racconta di sé e così intanto introduce i suoi 24 realissimi personaggi, ciascuno con la sua storia rotonda da descrivere, spiegare, ricordare. Poi, per tutti (o quasi), domande e risposte, dandosi del tu. Da Danilo Collalti, erede di un negozio di bici romano, forse il più antico d’Italia, anno di fondazione 1899 (“Ho ancora il vecchio tornio che usava mio nonno, funzionante, la macchina per la sella, quella per i cerchi, tutto”), a Gianni Mazzeo, pioniere dell’e-bike (come se “prendi le scale mobili e intanto cammini e allora tu sei veloce, non ti stanchi, però tu sei mosso lo stesso”), da Sergio Basso, inseguitore dei ladri del bike sharing (una volta “ho scoperto che era un ragazzino di sedici anni, l’ho fatto scendere e abbiamo avuto una bella conversazione. Alla fine, mi ha spiazzato: ‘Meglio in mano mia che buttata nei Navigli’”), a Sebastiano Dessanay, musicista, che in bici ha raggiunto i 377 Comuni della Sardegna (senza mai passare per la stessa strada: “Come il gioco della settimana enigmistica”), da Alessandra Cappellotto, campionessa del mondo su strada nel 1997 (“La bici è qualcosa di così banale che dovrebbe essere alla portata di tutti. Sembra incredibile che possa essere ancora vietata”: per esempio, in Afghanistan), a Ippolito Chiarello, attore di teatro a pedali e a domicilio (“Per me il viaggio è partire quando si esce di casa, aprire la porta, aprire i sensi, guardare in alto e in basso”).
“24 storie di bici” (che ha anche 24 schede dedicate e 16 pagine fotografiche) potevano essere di più, tant’è che potrebbero essercene altre 24 nella prossima edizione, perché ognuno ha una bellissima storia di bici da raccontare, ed è la sua, ma è anche – allo stesso tempo – una storia collettiva, comunitaria, che ci interessa dentro, che ci tocca fuori, che ci gira intorno, che perfino ci sta addosso. Sempre dandoci del tu. “La bici è quello che forse un giorno ci salverà – confidava Dario Pegoretti a Schepisi e Romio -. La bici o qualche altro mezzo che possa aiutarci senza dover bruciare qualcosa. Questo, detto in parole povere. La bici può essere uno di questi mezzi: è facile da usare, poco costosa e risolve un sacco di problemi di mobilità e di parcheggio”. Pegoretti, artigiano telaista, è andato in fuga per sempre. Ma le sue idee, i suoi sogni, le sue creazioni continuano a circolare.
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