Forse sono traiettorie. O forse sono scie. Forse sono ispirazioni. O forse sono vocazioni. Forse sono richiami. O forse sono istinti, o destini, o eredità, o semplicemente incroci stradali ed esistenziali.
Era una rimessa del grano. E’ stata anche un pub. E dal 1994 è un ristorante. L’Osteria delle Spezie, a San Salvo, al confine dell’Abruzzo con il Molise. In corso Garibaldi 44, nel sobborgo di San Nicola, lungo l’antica strada romana.
Il sospetto di una traiettoria, o di una scia, o semplicemente di un incrocio stradale ed esistenziale mi assale quando, entrando, sulla parete alle spalle, incorniciato, scopro un articolo – recensione, critica, storia, racconto: non saprei dire con precisione – di Gianni Mura, firmato con la moglie Paola, tratto dal Venerdì di Repubblica, per la rubrica “Mangia & Bevi”, i primi anni Duemila. Non è la prima volta che, casualmente (o magicamente), entro in una trattoria, osteria, ristorante, “localino” come modestamente in questa circostanza lo definiva Gianni, che lui aveva già esplorato e assaporato. E ne sono felice.
Per due motivi. Il primo: Mura non sbagliava mai, e quando sbagliava, piuttosto non ne scriveva. Il secondo: Mura è come averlo lì, qui, così, a tavola con noi, in cucina con lui, Giancarlo, fra i tavoli con lei, Giulia, e a San Salvo con tutti, a prescindere dal Giro d’Italia che qui è passato diverse volte ed è partito in due edizioni, nel 2013 per arrivare a Pescara e nel 2020 per salire fino a Roccaraso.
Gianni – racconta Giancarlo – venne qui con Paola, si sedette a un tavolo, ordinò, mangiò, domandò, ascoltò, infine pagò. Solo al momento della carta di credito, Giancarlo capì chi era quel cliente competente, curioso, generoso perché umano. Troppo tardi per ingraziarselo con un trattamento di favore, che – come per tutti indistintamente - c’era già stato nella scelta degli ingredienti, nella ricerca delle combinazioni, nella cura dei piatti, nella valorizzazione del territorio. Dopo la pubblicazione del pezzo, Gianni e Giancarlo rimasero in contatto, una telefonata ogni tanto, per sapere come andava la vita. Fino a quando, a non tanti chilometri da San Salvo, stessa costa adriatica, direzione nord, Mura consumò la sua ultima cena.
“L’idea – scriveva Gianni Mura – è puntare sulla cucina di territorio. Questa è una musica che suonano in tanti, si tratta di vedere come. Bene, qui”. Cito a caso: i ravioli ripieni, il pecorino dell’ultimo pastore, la cicoria impazzita, la verza cif e ciaf (con peperoncini e maiale: e si sa quanto Gianni adorasse tutto il suino possibile e immaginabile), i dolci di casa. E un Montepulciano d’Abruzzo che non solo non ha nulla da invidiare, ma molto da ingelosire quello di Toscana.
Forse sono traiettorie. O forse sono scie. Sarà quel che sarà, molto più di una sensazione, molto più di un’impressione, direi un regalo a sorpresa, questa cena inattesa con Gianni Mura. E oggi comincia il Tour de France che lui amava, e raccontava, e amava raccontare.
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