Forse non dovrei parlarne cioè scriverne. Ma non resisto alla voglia di chiarezza giornalistica. Pare un ossimoro, di questi tempi di bla-bla specie televisivo. Per me questa chiarezza è stata vita, e riviverla significa non morire. Detesto i riferimenti personali, ma penso che questa volta siano proprio necessari. Per via del pesantissimo covid che mi ha devastato, del mio lungo duro perdurante postcovid con i suoi misteri fisici inquietanti, della situazione generale del mondo sotto pandemia eccetera eccetera, mi sono rifugiato, per quella terapia che nasce dai ricordi, nel ciclismo, ormai ovviamente televisivo. E grazie anche a provvidi (in questo specifico caso) ricoveri ospedalieri, me ne sono pappato davvero tanto, grazie ad opportunità davvero da benedizione. Tanto? Troppo.
Lo dico, lo scrivo, lo segnalo, lo denuncio da innamorato di questo sport, al quale fra l’altro devo molto della mia bella vicenda giornalistica e soprattutto devo momenti intimi impagabili, pari a quelli che nel calcio mi ha offerto il mio, sempre più mio Toro.
Dunque: grazie al covid di un drammatico mese, con cinque ricoveri diversi e una sopravvivenza da miracolato, e poi ad un intervento cardochirurgico per rimettere a posto lo scorrere del sangue alterato dal tremendo tribolare da virus, e grazie anche - diciamolo - a provvide sistemazioni ospedaliere, nel senso di letti davanti a teleschermi, ho potuto teleammollarmi ciclismo su ciclismo. Come? Facile: Rai Sport sul canale 58, un po’di Rai 2 e via. Il direttore di Rai Sport, Auro Bulbarelli, un amico, uno che stimo, è abbondantemente ciclofilo. Il quasi vuoto dello sport da diretta, in questi tempi ormai lunghi di virus, costringe, per riempire le 24 ore di trasmissione, a rovistare e mandare in onda l’archivio. Rai Sport di Bulbarelli ha usato e sta usando abbastanza il calcio, si capisce, e per esempio Italia-Olanda e Italia-Polonia sono state televiste decine di volte, ovviamene fa tesoro delle non molte dirette (specialmente pallavolo, ma anche basket e pattinaggio e, sino a che c’è stata neve, sci alpino e nordico). Su tutto, comunque ciclismo e ciclismo, uno sport fra l’altro pochissimo presente nel pur vasto diorama concorrente di Sky. Ho avuto chicche sublimi, compreso se si vuole un campionato del mondo femminile del millennio scorso, da pellicola piovosa e con pedalatrici che sembravano suffragette.
Ho avuto le dirette dell’inizio di stagione, senza pubblico, nei paesi arabi perché non ne frega niente a nessuno (però ci sono i soldi), da noi perché non si può assembrare (ma ho anche visto corse al nord con pareti quasi classiche di gente, e mascherine poche). Da italiano non sono ovviamente riuscito a godermi la saga fiamminga che sta, pare, esaltando il Belgio e l’Olanda, pronti a spartirsi la dominazione con Van Aert e Van der Poel, anche ciclocrossisti da grande richiamo, in attesa di Evenepoel che, guarito, dovrebbe essere il meglio del bigoncio, anche se con quel cognome e col nome Remco dovrà essere sottoposto a mutilazione tipografica per stare, con diminutivo, nei titoli grossi. Alla faccia della mondializzazione in corso, ariecco il Van Qualkecosen/Stuyven che magari vince la Sanremo e quelli, tanti, terribilmente bravi, nati tutti in pochi chilometri quadrati, di cui scrivevo negli anni Sessanta. Ho visto il ritorno francese specie con Alaphilippe che però rischia di essere uno Jalabert, uno non da Tour, ho constatato la botta presa dal ciclismo britannico con pesanti storie di doping. Rimango stupito dalla repente vitalità del ciclismo sloveno, quattro gatti ma che gatti! Mi sono persino dispiaciuto per lo slovacco Sagan che ormai non vincerà più, penso e temo, una Sanremo. Insomma, il lungo momento è confuso ma importante. E vengo al punto, o almeno ad un punto, però a mio parere importante.
Cioè ad una domanda per la Rai e Bulbarelli e i santi e santoni del nostro amato sport che ha pure un nuovo presidente: come si farà, con la stagione delle grandi corse e il Giro e il Tour eccetera, a dare un seguito logico e proporzionato - di fronte specialmente al gran ritorno del calcio - di presenza televisiva, la sola che garantisce sopravvivenza e altro, a tutto quanto ammollatoci in periodo solitamente di astinenza stagionale? Viziati dall’effetto-covid, forse perennemente posseduti, condizionati dal covid, temiamo di dover digiunare dopo che abbiamo preso il gusto all’abbuffata. Terribile. Intanto, già ho letto eminenti critici televisivi impegnati a far sapere che la tivù dà troppo ciclismo. Aiuto.
da tuttoBICI di Aprile