Ventiquattro minuti e venticinque secondi. Da Bellagio alla chiesetta, dal lago al cielo. Volò. Come se le ruote della sua bicicletta si fossero trasformate in ali. Non fu difficile trovargli un soprannome per quel volo. E fu così che Angelo Miserocchi divenne l’Angelo del Ghisallo.
E’ morto anche lui, Miserocchi. Domenica scorsa. A Santerno, nel Ravennate, dove era cominciata la sua storia. Un giro completo di ruota. Aveva 88 anni, l’Angelo del Ghisallo. Famiglia povera, elementari, bracciante alla cooperativa. La bicicletta era considerata una perdita di tempo, dunque un lusso e una trasgressione, tant’è che lui ci andava di nascosto dai genitori. Quando si accorse, anzi, quando gli altri si accorsero che aveva qualità, venne tesserato alla Rinascita di Ravenna. Era l’estate del 1950. E la prima corsa divenne anche la prima vittoria. “A Villa San Martino di Lugo, novanta chilometri, allievi. Non sapevo se stare davanti o dietro, se fuggire o inseguire, se scattare o rincorrere. Non sapevo niente. E non sapevo perché tutti gli altri concorrenti mi insultassero. Lo avrei capito strada facendo: non sapendo correre, ero un pericolo ambulante. Finché un mio amico, Medardo Bartolotti, mi ordinò di stargli vicino. Mi portò davanti, in testa. Poi, da lì, feci da solo. Spinsi sui pedali a testa bassa. E quando mi voltai, non c’era più nessuno”.
Stessa classe di Ercole Baldini, il 1933, ma diverse caratteristiche. Se Ercole fischiava in pianura come un treno, Angelo squittiva in salita come uno scoiattolo. Fra le sue vittorie, ancora da allievo, appuntamenti come la Coppa Giulio Bartali da San Sepolcro alle Balze di Verghereto e come la Bologna-Reggio Emilia. E, da dilettante, classiche come la Milano-Rapallo, come il Giro del Valdarno, come il Gran premio del Rosso a Montecatini battendo proprio Baldini, come la Coppa Sabatini a Peccioli, e come quel Gran premio Pirelli, sul percorso del Giro di Lombardia, con il volo sul Ghisallo, addirittura quarantadue secondi meno di quanto avesse stabilito Fausto Coppi nel 1949. Fino alla convocazione negli azzurri di Giovanni Proietti: all’orizzonte, l’Olimpiade di Melbourne del 1956. “Ma all’ultimo momento venni escluso. Ci rimasi male. Dicevano che il percorso, piatto, non faceva per me”. Quel giorno fischiò il treno di Baldini.
Pare che Coppi si ricordò di Miserocchi e lo indirizzò alla Bianchi. “Nel 1957, gregario di Nino Defilippis. Cominciai con il Giro di Sicilia: un terzo posto di tappa e il sesto della generale. Poi il Giro d’Italia, con Defilippis quattro tappe in maglia rosa, portato a termine. E le classiche italiane e anche straniere, come la Milano-Sanremo e la Freccia Vallone. Ma rendevo meno di quello che mi aspettassi. Fu proprio Coppi, con le sue conoscenze, a procurarmi un appuntamento all’ospedale di Bologna. Visite, analisi, infine tre giorni di attesa per conoscere il verdetto: diabete”. Fine del volo. Luciano Pezzi, che avrebbe dovuto essergli compagno in quella Bianchi del 1958, trovò a Miserocchi un posto di lavoro, giù dalla bici, in un’azienda metalmeccanica di Russi. L’Angelo del Ghisallo ci sarebbe rimasto trent’anni.
Un paio di anni fa, quando lo cercai perché mi regalasse ricordi e testimonianze per il mio “Coppi ultimo”, Miserocchi era a casa, a Santerno, ma sua moglie Maria mi disse che non era più il caso. La memoria, ormai, vacillava.