I PECORONI

TUTTOBICI | 16/11/2020 | 08:05
di Cristiano Gatti

Sono totalmente d’accordo con Carmine Ca­stel­lano, il glorioso patron di tanti bei Giri: la lugubre giornata di Morbegno 2020 non deve essere dimenticata. Né in fretta, né a gioco lungo, né mai. Dimenticare, anzi ri­muo­vere sbrigativamente na­scondendo tutto sotto il tappeto, sarebbe un errore ugualmente grave. Dobbiamo farcene una ragione: la rivolta di quel giorno resta un sinistro precedente, altro che pagina nera da voltare al più presto. E allora è meglio ricordarcela mol­to bene, a lungo, sempre. Perché mai il Giro aveva subito uno sfregio simile. E mai più dovrà riceverne.


Saltiamo pure tutte le ragioni contro o a favore. La protesta in sé, a bocce ferme, non interessa più. Da mandare a memoria sono i tempi, i modi, gli atteggiamenti. Quelli restano, quelli ri­schiano di riemergere alla prossima occasione, lanciando nuo­ve mattonate sull’instabile equilibrio del ciclismo moderno.


Tanto per cominciare, di quel giorno io salverei soltanto Adam Hansen, il così definito caporivolta, l’agit-prop che ha scatenato il fi­nimondo. Voglio dirlo apertamente, a costo di prendermi me­tà dei pomodori che s’è pre­so lui: lo trovo comunque mol­to rispettabile. Non sto a farla lunga: un uomo può sbagliare, può imbarcarsi in imprese farlocche, ma se ci mette la faccia, se agisce in prima persona, sen­za comodi schermi e facili scaricabarili, quell’uomo comunque io lo rispetto. A prescindere, co­me diceva Totò. Mille volte me­glio un nemico leale, identificabile, alla luce del sole, che un ne­mico viscido, sfuggente, vi­gliacco. Mille volte meglio.

Detto questo, ancora og­gi sono convinto che Hansen abbia dato il via a un’iniziativa farneticante. Se il problema sollevato non rientra nel protocollo Uci, che giustamente prevede le fermate delle gare, deve valere sempre e solo una regola: chi non se la sente, chi non ce la fa, si ritira. Punto. Se salta questo comandamento, salta l’intera religione. Se saltano questi fondamentali costituzionali, si arriva dritti al percorso personalizzato, im­provvisato sui due piedi. Si va quando, come, dove pare agli umori del gruppo. Chiun­que è in grado di capire: non funziona. Non può funzionare. E se qualcuno si alza una mattina in vena di ricatti, caro di­rettore Vegni, non si comincia nemmeno la trattativa. Trattare è già cedere. La risposta è una sola: ci si vede sulla linea del via. Chi c’è, c’è, chi non c’è si rechi al più vicino aeroporto. Il ciclismo non si piega alle lune di nessuno, tanto meno im­prov­visate sui due piedi, senza i margini per fare le cose come si deve. Punto e a capo.

A capo, nel nuovo capoverso, ci deve per forza stare però la questione forse più desolante di tutte, se possibile anche più desolante dello stesso sfregio alla tappa e al Giro intero: quel gruppo in coda agli Hansen, a testa bassa, senza sapere perché, o senza il coraggio minimo per prendere le distanze. Pecoroni di un greg­ge senza bussola, capaci so­lo di andare dove ordina il ca­po­bastone.

Nessuno può andare or­goglioso di quel giorno. Non quelli che si sono adeguati “per senso di ap­partenenza alla categoria”, perché comunque quando la categoria va a buttarsi nel burrone, è le­cito anche fermarsi un passo pri­ma. Ma ancora peggio, mol­to peggio, ne escono quelli che addirittura dicono - sinceramente o ipocritamente - “non ne sapevo niente, non ho capito perché”, però puntualmente si sono accodati al branco. Non ho nessun dubbio: mille volte più rispettabili gli Hansen, di questi qui. Troppo facile na­scon­dersi sempre dietro al paravento del non so niente, ma mi adeguo. E qui siamo a un problema enorme, non solo del ci­clismo, neppure nuovo, in fon­do lo stesso che già si vedeva nel Ventennio, quando folle enormi stavano sotto al balcone, salvo poi non trovare più un fascista a guerra finita, esclusi i fedelissimi a schiena dritta e a petto in fuori. Re­stando alle cose del ciclismo, parlo dello squallido costume per cui alla fine non si sa mai chi e perché abbia compiuto una certa azione, in un festival di scaricabarile e di gente che si nasconde da mettere tristezza.

Volendo cogliere un insegnamento dalla turpe giornata di Morbegno, io coglierei proprio questo. Sa­rebbe l’occasione giusta perchè l’Associazione dei corridori, ma in fondo anche gli stessi ma­nager delle squadre, istituissero dei corsi di aggiornamento non solo sui watt e sull’alimentazione, ma anche su quella forza ag­giunta che è la responsabilità. Dice niente questa pa­rola? Io non so se i motivatori parlino di questo ai ragazzi, non so neppure se ne siano all’altezza. Ma è ora che assieme all’atleta cresca anche l’uomo, che oltre ai muscoli cresca anche lo spirito, perché poi ci si ritrovi ad affrontare le questioni - giuste o sbagliate non im­porta - con il minimo sindacale di partecipazione attiva. E di semplice co­raggio. Stare sempre nel branco è certo più comodo, ma è anche infinitamente più umiliante. Nel giorno in cui crolla tutto, non se ne può uscire dicendo io non so niente, non ho sentito niente, non ho visto niente. Bi­sogna alzare la testa. Bisogna usarla. Altri­men­ti poi è inutile partire con i piagnistei e i vittimismi. E qui chiudo facendo un passo indietro. Meglio la­sciare la sce­na a una frase di Se­neca, che sugli uo­mini la sapeva lunga: chi striscia tutta la vi­ta, non può lamentarsi se prima o poi viene schiacciato.

da tuttoBICI di novembre

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COMMENTI
Uno squalo nell'acquario
16 novembre 2020 09:32 Ponciarello
Vincenzo Nibali ormai è a pieno titolo uno degli "sceriffi" del gruppo, perché non si è pronunciato prendendo in mano la situazione?
Un Moser o un Hinault tutto avrebbero fatto fuor che accodarsi passivamente subendo decisioni di altri.

Pecore
16 novembre 2020 09:33 andy48
D'accordissimo!

Nibali sceriffo
16 novembre 2020 09:58 fransoli
Prima di utto fare lo sceriffo bisogna averne l'indole, se tu non ce l'hai non puoi farlo anche se ne avresti il titolo... Poi bisogna vedere se Nibali ha davvero l'autorità che tu gli attribuisci in seno al gruppo, magari tra gli italiani conta ancora qualcosa, fra gli stranieri e soprattutto nei confronti dei team WT stranieri mi sa che conta quanto il due di picche... certo per un Armastrong era facile fare lo sceriffo quando vinceva in lungo e in largo e aveva una US Postal che decideva chi poteva andare in fuga

Nibali Sceriffo
16 novembre 2020 10:34 Ponciarello
Lo dico perché mi pare una persona risoluta, parla poco ma quel poco che parla va a segno. Penso che dopo 16 anni di professionismo a questi livelli sa come farsi rispettare e con quello che ha vinto conta ancora molto, anche oltreconfine.
In poche parole per me l'indole ce l'ha eccome!

ora basta. è solo invidia
16 novembre 2020 10:34 alerossi
degli italiani nei confronti della grandezza immensa e magnifica del Tour de France. Bisogna fare meno i nazionalisti, perchè i nazionalisti non sono ben visti al di fuori dei confini nazionali. crescere di mentalità, aprirsi al mondo. invece in italia si è ancora al tempo di chi costruiva la torre più alta, per farsi vedere di essere i migliori, quando migliori non lo si è.

Bravo Gatti!
16 novembre 2020 19:19 marcodlda
Perfettamente d'accordo con Gatti!

L'ultimo giapponese...
17 novembre 2020 00:47 AleC
Dite a Gatti che la guerra è finita.
Ancora a dire meglio Hansen, peggio quell'altro...

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