Jai HINDLEY. 10. Si prende la maglia rosa per 86 centesimi, meglio di niente. Se solo il suo team avesse capito cosa aveva per le mani. Se solo avesse capito a Piancavallo chi era il cavallo su cui puntare. No, la strategia dello Stelvio non ha inciso, anzi il team olandese ha fatto bene a lasciare andare alla deriva un corridore che aveva chiaramente il serbatoio vuoto. Dice l’australiano: «È un onore vestire la maglia rosa, ora spero solo che vinca il migliore». Ma conoscendo il talento di Geoghegan Hart nelle prove contro il tempo e parafrasando il Paron Nereo Rocco, è probabile che lo stesso Hindley abbia pensato: speremo de no.
Tao GEOGHEGAN HART. 10. Lo dice lui: «Se penso a dov’ero dieci giorni fa, mi sembra incredibile di potermi giocare il Giro», dopo che all’Etna, nel giorno dell’addio di Thomas, ci aveva rimesso un paio di minuti per una foratura ai piedi del vulcano. Lì dove si solidifica la lava, lui non si leva. Anzi, giorno dopo giorno si eleva con tutta la sua Ineos, superlativa in tutto e per tutto. Perdono Thomas e non fanno i piangina. Non se la prendono con l’organizzazione o la borraccia. Cambiano strategia e si mettono al lavoro: sei tappe, domani forse 7 (con Ganna), ma anche 8 (con lui). Sarebbe il giusto premio: per loro, per il Giro e anche per noi.
Joao ALMEIDA. 9. Ragazzi, ha 22 anni. Altro che storie. Questo ragazzo non è stato in rosa per quindici giorni per grazia ricevuta, c’è stato perché ha talento da vendere e anche tenuta, visto come sta concludendo il Giro. Gli manca qualcosina, ma è proprio ina. Ci si può lavorare. E la squadra per spiccare il volo ce l’ha.
Rohan DENNIS. 10 e lode. Dopo aver spianato lo Stelvio, si beve tre Sestriere di fila. Frequenza da uomo del tempo che ha fretta di chiudere ogni discorso è portare in rampa di lancio il bimbo britannico. Pedala in montagna come se fosse su una pista, tra terra e cielo.
Andrea VENDRAME. 8. Fa un Giro ottimo, pieno di sostanza e di lavoro, oltre che di piazzamenti. Oggi arriva 5°: se vi sembra poco.
Pello BILBAO. 5. Doveva spaccare il mondo, ne esce a pezzi.
Wilco KELDERMAN. 4. Già nella crono del prosecco mi aveva colpito per aver smesso di pedalare a trenta metri dal traguardo. Era arrivato esausto. Da quel momento in poi è stato in costante declino. Se avessero fermato Hindley sullo Stelvio? I Sunweb avrebbero già perso il Giro.
Vincenzo NIBALI. 6. Ha il suo passo, che è probabilmente molto buono, ma gli manca quel poco che fa la differenza quando si dà gas. L’età? Io dico che una stagione così breve, concentrata ed esplosiva è anche un po’ fuorviante. Per chi è un diesel e necessità di corse, non è proprio il massimo.
Domenico POZZOVIVO. 7. “Il paradiso della brugola” (copyright Riccardo Magrini, voto 8) fa qualcosa di pazzesco. Non oso immaginare cosa abbia passato il piccolo corridore lucano per arrivare a concludere questo Giro. Ammirato.
Fausto MASNADA. 8. Se Dave Brailsford è un drago con la sua Ineos, Patrick Lefevere non è da meno con la Deceunick. Non dico nulla di nuovo, dico ovvietà, sono due esempi di visione e managerialità. Basta osservare l’operato delle loro squadre: un esempio. La Deceunick ha fatto un Giro pazzesco, fra il nostro Fausto e Davide Ballerini ha due buoni motivi per essere orgogliosa. Qualcosa di buono abbiamo.
Stefano ALLOCCHIO. 10. Nonostante sia uno dei più visibili, perché il Giro d’Italia se lo sciroppa dall’inizio alla fine con il vento in faccia visto che è sempre fuori dal tettuccio della sua ammiraglia in qualità di direttore di corsa, Stefano fa un lavoro oscuro. Come quello di ieri, in una situazione di assoluta emergenza: il Giro si ferma e rischia di non ripartire. C’è da trovare al volo un posto dove piazzare decine e decine di motorhome e di ammiraglie. Non è facile, in poco tempo. Como? Vigevano? Niente da fare. Ecco il colpo di genio, Stefano si ricorda degli immensi spazi davanti alla Mivar, fabbrica di televisori di Abbiategrasso. Frazione accorciata a 124 km e nuova ripartenza, tappa salvata. Fiuuu…
Wilco KELDERMAN. 2. Le parole più gravi dopo la tappa mutilata sono della maglia rosa: «Capisco la frustrazione di Vegni, ma sono sicuro che abbiamo preso la decisione giusta. Il Giro è stato molto duro, le tappe molto lunghe, i 10 km in partenza erano freddissimi, il nostro sistema immunitario è basso».
Adam HANSEN. 2. È il capopopolo, l’uomo della rivolta, il rappresentante di una parte di corridori. Il grande vecchio della Lotto-Soudal ha un diavolo per capello. Dopo la tappa dello Stelvio rientro in albergo a tarda ora, ripartenza a ore antelucane perché ci vogliono due ore di viaggio per raggiungere la sede di partenza, quindi, poco riposo. E dirlo? Spiegarlo a tutti, ad incominciare dai loro simili? No, troppo facile, troppo semplice e prevedibile, scelgono di inscenare sommosse carbonare in nome e per conto di una maggioranza che non c’è (in ogni caso complimenti anche a tutta quella maggioranza silenziosa dei corridori che non parla, non dice e non capisce cosa stia succedendo, ma accetta supinamente il volere di non si sa bene chi…). Adam è l’uomo dei Grandi Giri, delle grandi fughe, ieri dei grandi capricci. È tra i più acculturati, considerati e intelligenti corridori del gruppo, in tasca pare abbia una laurea in ingegneria tanto da creare nel 2016 il CPAOCS (Cycliste Professionnels Associes Online Communication System), un sistema che avrebbe dovuto garantire ai corridori associati al CPA di gestire le comunicazioni in situazioni difficili. Il CPAOCS, avremmo già dovuto capire da questo acronimo che la sua elasticità mentale è davvero bassa.
Mauro VEGNI. 10. Ho un rapporto di grande amicizia con Carmine Castellano, che io mi pregio di poter chiamare da qualche anno “Elo”, come sono soliti chiamarlo gli amici. Intanto prendo una sua riflessione su quanto da me scritto ieri: una tappa che non ho voglia di ricordare. L’avvocato mi suggerisce: «No caro Pier, qui c’è da elevare il 23 ottobre a giorno della memoria. Nessuno deve dimenticare tale scempio». Mi piace, e accolgo il suggerimento.
Poi parlando del più e del meno, rievochiamo una Tirreno-Adriatico di qualche anno fa, ’97-’98, non fa differenza. Tappa Sorrento-Baia Domizia, ricordata per aver tolto dall’ordine di arrivo ben 125 corridori che per protesta si fermarono sul traguardo senza superarlo. Lo fecero dopo più di mezzora, e la giuria lì escluse perché in pratica arrivarono fuori tempo massimo. «Lo feci in accordo con Mauro (Vegni, ndr) che era direttore di corsa, ma solo dopo aver consultato il direttore della Gazzetta Candido Cannavò, il quale ci diede il suo appoggio incondizionato: “fate quello che ritenete giusto fare”, ci disse». Mauro Vegni, oggi, mi pare un po’ più solo.
Peter STUPPACHER. 2. Se fossi il numero uno dell’Uci, il presidente di giuria austriaco lo fermerei per un po’. Per i suoi peccati, per un suo peccato mortale che poi è peccato capitale: accidia. Ha rovinato la corsa. L’ha falsata. Senza 258 km nelle gambe, anche la tappa abbassata (senza Colle delle Finestre e Izoard), il Giro è stato menomato, falsato. Stuppacher non ha nemmeno scritto un rigo nel suo referto, per lui ieri è filato via tutto come l’olio. Se fossimo nell’Uci, due righe su di lui le faremmo.