Va bene, inutile mascherare la realtà, i nostri eroi dell'alta classifica sembravano in gita enogastronomica, tra prelibatezze suine e bicchieri robusti, d'altra parte io sarei l'ultimo a poterli accusare, perchè quando arrivo in quella zona cado in overdose di prosciutto e mi salvano per i capelli. Non può neppure bastare la volatina finale, con Almeida che guadagna pure un simbolo di vantaggio, per dire che hanno lavorato.
Diciamolo, senza per questo offendere nessuno: quanto a riposare, hanno riposato. Due giorni di fila. Un week-end. Un tranquillo week-end di paura, però. Perchè la testa, quella, non era rilassata, con tutto l'affollamento di spettri e di incubi a incombere sul futuro ormai qui.
Poche storie: quelli che restano, i pochi o tanti che restano, sono attesi da un inferno fatto e finito. Un inferno di ghiaccio, che in grammatica è una delle immagini più usate per spiegare l'ossimoro, ma che qui al Giro rabberciato di ottobre diventa un supplizio feroce. E anche per questo indecifrabile, imprevedibile, impronosticabile. Cosa vuoi pronosticare davanti a uno Stelvio (giovedì) e a un Agnello (sabato) scalati, soprattutto discesi, a queste temperature. Sempre che ci si vada, naturalmente. Ma se davvero ci si va, l'arbitro non sarà più la strada, con tutto l'armamentario che serve per domarla, forza resistenza intelligenza, bensì il termometro. Quel termometro che ormai fa parte invadente della nostra vita, anche solo per entrare al supermercato, in questo caso raddoppierà la sua importanza e la sua valenza, perchè dalle temperature di quelle cime, più che altro delle loro discese, dipenderà anche l'ordine d'arrivo, della singola tappa e dell'intero Giro.
Come definirlo dunque, questo finale di Giro? Come definirlo, questo nuovo sport estremo? Io ho la fantasia anchilosata. Mi vengono solo frasi fatte. Ma terribilmente efficaci. Un salto nel buio. Un salto nell'ignoto.
In fin dei conti, la tappa più logica e normale sarà proprio la prima di questo “Survivor” surgelato in memoria di Amundsen, Fogar e Armaduk, questa tappa comunque tosta di Campiglio. Qui davvero si potrà capire chi realmente sta meglio e chi realmente sta peggio. E via con le discussioni, e via con i pronostici.
Da questo punto di vista, abbiamo dovuto aspettare duemila tappe del Giro per assistere se Dio vuole alla prima opinione espressa dall'opinionista Garzelli sul palco della tv parastatale. Alleluia, ce l'ha fatta. A meno che non gli sia sfuggita senza accorgersene, magari pentendosene subito dopo. Comunque, io la prendo al volo e la segnalo, perchè sono dell'opinione che un opinionista per fare l'opinionista debba esprimere opinioni, prendendosi serenamente i suoi bravi insulti. Questa l'idea personale di Garzelli: “Oggi Almeida è su di giri, lo si vede, magari vuole festeggiare il suo ultimo giorno in maglia rosa”.
Epocale, niente da dire. Garzelli che dice una cosa è a tutti gli effetti un evento epocale. Gli invio tutta la mia ammirazione, lo invito a non fare marcia indietro al primo commento arrabbiato, lo esorto ad andare incontro tranquillamente anche all'eventuale smentita che lo stesso Almeida vorrà sparargli in faccia vincendo a Campiglio. Stia sereno, fa parte del gioco: nessuno qui è mago Otelma, non è richiesto, si tenta soltanto di fare dei ragionamenti logici e sensati. Per sensitivi e veggenti basta rivolgersi da un'altra parte.
Ma allora, al netto degli opinionisti e delle opinioni: resisterà Almeida, crollerà Almeida? E Nibali, il nostro Nibali: risorgerà Nibali, affonderà Nibali? E Kelderman, e Geo-eccetera, e Fuglsang, e Pozzovivo, cosa farà tutta questa bella gente che pensa in grande?
Opinione personale, per niente originale: più della forza, deciderà la resistenza al freddo. Più dei watt, decideranno le temperature. Più delle gambe, decideranno i guanti e la tuta termica. Sempre che poi a decidere tutto non sia Vegni, con improvvisi colpi di spugna.
Ma non corriamo avanti inutilmente. Arriviamoci per gradi (pochissimi). Cominciamo con Campiglio.
Un fatto è certo: non è più il Giro d'Italia. Dopo tutto, non lo è mai stato. E' un salto nel buio. Un salto nell'ignoto. Coprirsi, che tira aria.