Fabio ARU. 1. Uno, perché da qui si deve ricominciare e ripartire. Il discorso potremmo sbrigarlo con due parole: non c’è più. Oppure: non c’è mai stato. O ancora: aveva un motorino e l’ha fuso. Ognuno può dire quello che vuole e gli pare, difatti da almeno tre anni uno degli esercizi migliori è proprio questo: dire la propria sulla fine o la brusca interruzione di Fabio.
Alla base di tutto ci sono le attese che ognuno di noi aveva riposto in questo ragazzo di buonissime speranze, che era cresciuto tanto e bene in un team che lo coccolava come pochi ed era seguito come nessuno da un Beppe Martinelli, che non si è mai dato pace per l’addio alla sua squadra, considerato come un tradimento. Poi c’è l’ingaggio, da top-player. Non si può ridurre tutto in palanche, ma non si può nemmeno fare finta di niente; un ingaggio milionario (più di 3 milioni di euro all’anno per tre anni) è pur sempre un ingaggio milionario e presuppone che ciò che percepisci tu lo possa ripagare con i risultati, con le prestazioni.
Poi c’è l’aspetto umano. Tocca persone che si sono giocate il posto per scarso rendimento non loro, ma del corridore sardo: dal responsabile sanitario Roberto Corsetti, con i colleghi Antonio Angelucci e Pietro Ronchi, passando per i preparatori Samuel Marangoni e Giacomo Notari e per arrivare ai direttori sportivi Mario Scirea e Daniele Righi. Via tutti perché non adeguati, per non dire all’altezza. Alcuni, in verità, solo perché non sanno l’inglese. Perché oggi è importante parlare la lingua della Regina, poco importa sapere quello che dici, sapere quello che fai. Vabbé. Ecco che arrivano altri luminari, altre figure professionali, ma il risultato è quello lì, quello di sempre. Forse andrebbe anche capita la posizione di certe figure, che fanno solo figure. Se io dicessi che da domani vado a fare il preparatore, cosa pensereste? Eppure ho corso in bicicletta (francamente ho molto più rincorso che corso, ma lo scrivo solo perché la fatica la conosco per davvero).
E allora, la questione è molto più delicata e complessa di quella che la si fa. La storia è una brutta storia, che ci mette davanti agli occhi un corridore che è solo. Un corridore che è probabilmente più forte di quello che noi ultimamente vediamo, ma non ha la forza di rialzarsi, schiacciato anche dal peso di tante, troppe scelte sbagliate. Se si pensa che a sbagliare siano sempre gli altri, ci si sbaglia.
È come la storia di Pantani: è stato lasciato solo, si diceva. No, Pantani ha voluto la solitudine, l’ha cercata come sola via d’uscita. Fabio Aru è un corridore che ha cambiato squadra portandosi dietro soltanto Tiralongo e un addetto stampa. Non un meccanico, non un massaggiatore, non un paio di gregari fidati, niente di niente. Solo è passato dall’Astana alla UAE Emirates.
Ognuno in questa vicenda deve fare il proprio esame di coscienza e capire se ci sono stati errori e soprattutto capire quali, ma il primo che deve sedersi per provare a comprendere cosa fare da grande e quale strada intraprendere è proprio Fabio. È un ragazzo intelligente e sensibile, al quale ho sempre voluto bene, ma per una volta l’orgoglio lo lasci da parte. In questa fase può solo fare altri danni.
IL TOUR. 10. Ieri abbiamo mosso le nostre perplessità, che non sono state solo nostre, ma anche di altri quotidiani italiani e stranieri, oltre ai siti di tutto il mondo. E senza colpo ferire gli organizzatori transalpini ne hanno preso atto. Non hanno fatto come avremmo fatto noi italiani: solita stampa carogna, per non dire di peggio. I cugini si sono limitati a leggere e a domandarsi: hanno ragione a scrivere ciò che hanno scritto? Sì. Oggi hanno risposto piazzando il personale e la gendarmeria lungo il Col de Marie Blanque, e le zone più critiche e affollate per contenere con tanto di corde la folla che ieri aveva occupato in maniera scomposta la strada (attendiamo con pazienza gli studi degli sociologi e delle barriere che inducono al superamento). Insomma, hanno prontamente posto rimedio ad una grave falla, ad una brutta manchevolezza. Che dire? Bravi!
Tadej POGACAR. 10 e lode. Non è mai bello dire ve l’avevo detto, ma l’avevo detto, l’altro ieri, quando è stato rallentato da una foratura: questo ragazzo si riprenderà presto e sarà l’uomo nuovo e in più in questo Tour. È sloveno (prepariamoci a servizi su questa nazione sinistra che fa cose sinistre in tutto lo sport), ma corre per una squadra che ha una matrice italiana, bici italiane (Colnago), un organico che a parte le questioni di cui sopra (leggi Aru) sta vincendo a più non posso. Insomma, vive due sentimenti contrastanti e opposti, ma questa sera ha più di una ragione per festeggiare e festeggerà. Taddeo è un ragazzo dal talento pazzesco. Prosit!
Primoz ROGLIC. 10. Al primo pit stop è primo. Questo è quello che conta, anche se non conta poi molto perché ciò che davvero vale è il 20, tra due settimane, a Parigi. Ma lo sloveno della Jumbo Visma, anche lui con attrezzi italiani (Bianchi), non mi sembra né spaventato né tantomeno convinto che la corsa sia finita. Anzi, mi dà proprio l’impressione di essere concentrato come pochi e mi dà anche l’idea di divertirsi come nessuno. E per gli altri c’è ben poco da ridere.
Marc HIRSCHI. 9. Il 22enne svizzero è davvero un talento, sia per come corre, sia per come interpreta le corse. Non è un corridore banale. Dico una banalità: anche lui non è italiano.
Egan BERNAL. 7. Per i suoi standard non sta andando fortissimo, ma non sta andando nemmeno piano. Può solo migliorare: per questo sarà un bel Tour.
Mikel LANDA. 8. Mai così pimpante e reattivo. Spesso apatico, spesso distratto, spessissimo anche sfortunato o rallentato per ragioni di squadra (ricordiamoci il possibile podio al Giro, quando fu fermato sul Mortirolo). Forse anche in questo inizio di Tour ha perso un po’ troppo, ma di terreno per rimediare ce n’é.
Guillaime MARTIN. 8. Il filosofo della Cofidis è tra le più belle sorprese di questo Tour. Per il momento ha corso non bene, ma benissimo.
Damiano CARUSO. 7. È il nostro uomo simbolo, uomo Nazione. Oggi ci fa risalire un po’. Sedicesimo a 3’42” da Roglic.
Emanuel BUCHMANN. 5. Era venuto qui per fare classifica, è già fuori.