No, proprio non riesco a trovare uno sport più complicato da far ripartire. Tra i tanti problemi che innegabilmente hanno tutti, il ciclismo si classifica al primo posto per coefficiente di difficoltà. Un rompicapo assoluto. Dev’essere scritto nel suo destino immutabile di disciplina veramente umana: sempre fatica, sempre sofferenza, sempre martirio. Come pedalare.
Possiamo prendercela tranquillamente con tutto e con tutti. C’è l’imbarazzo della scelta. Partendo dai livelli nazionali, governativi e federali, per espatriare fin dentro le stanze dell’Uci, tutti brillano per confusione mentale e indecisione. Innegabile: si potrebbe fare di più e di meglio. Quanto meno, decidere. Con tutti i rischi del caso: di errore, di impopolarità. Arrivo all’estremo: persino chiudere tutto per il 2020, senza arrampicate sugli specchi, e dare l’arrivederci direttamente al 2021. Un cazzotto allo stomaco, per molti una rovina: comunque, una decisione. Niente: s’è scelto il più comodoso vicolo dei temporeggiatori, dei fumosi, dei vaghi, dei pavidi e degli accidiosi. Degli scaricabarile.
Detto e riconosciuto tutto questo, resta la sostanza. Il nocciolo essenziale della questione. Rimettere in pista il ciclismo è innegabilmente l’operazione più difficile di tutte. Non è facile per il calcio, per la Formula 1, per il MotoGp, per il tennis, per le bocce e per il tiro con l’arco, nessuno lo nega: ma questa della bicicletta resta l’avventura più acrobatica in assoluto. Non è nemmeno così arduo comprendere le ragioni. Una ragione di perimetro, perché la corsa tocca duecento chilometri (più o meno) di territorio, un po’ più di un campo, di un palazzetto, di un circuito, e perché i protagonisti dello spettacolo sono una bella massa, tutti a stretto contatto di gomito.
In queste settimane ho maturato un’idea personale molto pittoresca e stravagante: la vera soluzione al nostro rompicapo è la cronometro. Se paradossalmente l’intero calendario prevedesse solo gare contro il tempo, buona parte del grattacapo si risolverebbe da sola: corridori sempre in gara singolarmente, gestione di partenze e arrivi semplificata, ammiraglie e carovane varie ben distanti tra loro. Ma è chiaro che si tratta proprio di un paradosso. Per salvare il salvabile, resta necessario salvare qualcosa che somigli al Tour, al Giro, alle cinque Monumentali. E quindi il problema resta tutto. Sostanzialmente, insolubile.
Qualcuno - magari tutti - mi dirà: ma quale insolubile, guarda come l’abbiamo risolto bene, da qui a novembre recuperiamo tutto e il ciclismo si lascerà alle spalle il tunnel nero. E va bene, voglio prenderla per buona. Faccio il bravo ragazzo e mi allineo: abbiamo risolto tutto alla grande, abbiamo risolto la faccenda più complicata del mondo. Voglio dirlo anch’io, voglio crederci anche io. Ma quanta fatica. Quanta ipocrisia con me stesso. Purtroppo, da qualche parte l’io che non rinuncia a usare la testa, che proprio non riesce a bersela, che vuole intravedere un minimo di verità (l’abbiamo tutti, questo io rompiscatole), proprio lui mi dice chiaro e tondo finiscila di raccontartela, è vero, il ciclismo riparte, ma riesci a vedere come riparte?
Contrito e pentito, devo ammetterlo: lo vedo bene, come riparte. Fingendo un sacco di cose: fingendo normalità, fingendo passione, fingendo gioia. Fingeremo che queste corse siano come le solite, fingeremo di tifare per questo e per quello, fingeremo di esultare per una vittoria e di abbatterci per una sconfitta. Fingeremo di divertirci, fingeremo l’attesa della vigilia e fingeremo i commenti del giorno dopo. In altre parole, fingeremo di prendere per buono questo surrogato, messo in piedi in qualche maniera davanti al problema insormontabile di rianimare il più grande sport di popolo e di strada, cioè di assembramento, che esista. Più o meno, fingeremo come abbiamo finto davanti al ciclismo virtuale di questi mesi. Sarà il nostro metadone. Ma per parlare di ciclismo vero, serio, reale, dell’unico ciclismo che conosca e che ami, io mi sono già messo ad aspettare il 2021. Sperando che basti.
da tuttoBICI di agosto