Caro direttore,
mi sembra doveroso a questo punto tornare per un attimo al Giro di Lombardia. Per quanto mi riguarda, trovo che il generone social-ultrà ci abbia dato dentro più del solito con la demagogia e il luogo comune, con il moralismo e il saccentismo, ovviamente sempre mimetizzato dietro al comodo anonimato che rende tutti così spietati.
Io vorrei sgombrare il polverone soprattutto dallo spaventoso incidente di Evenepoel, che tanti faciloni hanno subito abbinato al Suv della cretina investitrice di Schachmann, facendo scopa in faccia agli organizzatori. Ecco, senza farla tanto lunga e senza lasciare niente in sospeso: la cretina contromano è chiaramente imputabile all'organizzazione, Evenepoel proprio no.
Sulla signora con la testa tra le nuvole – per non dirle altro – si può dire caso mai che di questi personaggi ne possono sempre comparire dietro ogni curva, lungo una gara di due o trecento chilometri. E' difficile controllare tutti, metro per metro, soprattutto al giorno d'oggi, in questo clima di odio per il ciclismo e di insofferenza nevrotica verso qualsiasi forma di interruzione del traffico e dei traffici personali. E' difficile, è sempre più difficile, ma un'organizzazione è lì per questo: per governare – assieme alle autorità locali – anche questi rischi, ormai sempre più diffusi e aggressivi. E se qualcosa sfugge alle maglie dei servizi di sicurezza, la responsabilità non può che cadere proprio su chi organizza gli avvenimenti. Onori e oneri, si usa dire.
Qui, però, mi fermerei. Rcs sotto accusa per Schachmann, ma fine dei processi. Evenepoel proprio non rientra in questo discorso. Lo dico senza problemi, sollevato al massimo dalle diagnosi rassicuranti per il giovane fenomeno. Ma lo dico con molta convinzione. La caduta del piccolo belga non è colpa di nessuno: è colpa sua. Meglio: è colpa del ciclismo, della sua naturale e intrinseca pericolosità. In questo caso non c'è nemmeno il comportamento scorretto di un collega, com'è successo a Jakobsen: Evenepoel è totalmente responsabile del suo volo. Una cosa simile a quella capitata nel Giro del 2009, sempre sulle montagne lombarde, in quel caso allo spagnolo Horrillo, volato giù dal parapetto sul Culmine di San Pietro. Dovremmo limitarci a chiamarli incerti del mestiere, senza farla tanto lunga con colpevoli e capri espiatori. Evenepoel è andato largo, magari non era lucidissimo, comunque ha commesso un errore, e purtroppo in quel punto l'errore costa carissimo.
Certo, le anime belle del senno di poi mi verranno a dire che punti così rischiosi non dovrebbero essere ammessi, equiparando un ponte di montagna a tante colpevoli curve assassine negli ultimissimi metri degli sprint, a tanti paracarri e spartitraffico mal segnalati, a tante gallerie buie, tutto questo sì colpevolmente introdotto da organizzatori incoscienti.
Ma cosa c'entra il ponte di mezza montagna, chiedo io. Piuttosto, mi si dica che il ciclismo ormai va corso solo dentro l'autodromo di Imola: così mi sembra più logico, come ragionamento. Però patti chiari: corriamolo anche solo dentro il cortile di casa, ma non chiamiamolo più ciclismo.