Allupati dopo interminabile astinenza, caricati a pallettoni perchè quest'anno bisogna fare tutto in fretta, tutto e subito, li abbiamo ritrovati proprio veri, come li avevamo lasciati e come temevamo di non rivederli per un po'.
Evviva anche questa roba qui, che ci ostiniamo a chiamare Milano-Sanremo, ma che non ha niente a che vedere con la classica uscita da un secolo di storia e di leggende. Basta guardarla, per capire che non c'entra nulla con l'originale: cambia la stagione, cambia il percorso, cambia persino l'accoglienza di una regione che per motivi di cassetta balneare volta le spalle ingrata alla sua creatura.
Eppure anche questa roba qui si rivela molto utile. A qualcosa servirà persino in futuro. Prima di tutto serve a confermare che abbiamo un nuovo fenomeno, che magari non è Merckx, certo non ancora, ma che comunque ha tutti i requisiti e l'inconfondibile profilo del fuoriclasse. Anche se è questa roba qui, resta pur sempre un monumento, dunque attribuisce a Van Aert (come avrebbe scritto l'indimenticabile Gianni Mura, Aert anagramma di Arte) tutte le investiture e i superlativi del caso. Ancora e sempre, per noi, il solito rammarico: peccato, davvero un peccato che non sia italiano.
E poi passo alla seconda cosa che persino questa roba qui ha insegnato, almeno a me. Direi che la prendo come una controprova, la controprova che seppellisce un dibattito ormai annoso e anche piuttosto noioso: la Sanremo, la sua facilità, il suo percorso, con tutto il coro dei frignoni a pretendere ogni anno di aggiungere questo e togliere quello perchè non sia più un mondiale per velocisti.
Eccola qui, la controprova che abbiamo sempre raccontato a chiacchiere: più stravolto di così, più cambiato di così, più indurito di così (persino 305 chilometri) il tracciato della Sanremo non l'avevamo visto mai. Credo sia proprio quel genere di Sanremo che i piagnoni ci chiedevano da anni e anni, perchè vinceva Zabel e perchè vinceva Cipollini, e pazienza se vincevano pure Bugno e pure Nibali.
Niente, la Sanremo nuova e diversa, la Sanremo più dura, la Sanremo famola strana ce l'ha imposta il Covid. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: epilogo uguale, comunque molto simile, a tutti gli altri epiloghi. Duello finale comunque tra grandi passisti veloci, con Nizzolo valorosamente quinto, in mezzo ad altri sprinter di razza.
Allora, salutiamoci così, da questa Sanremo surreale e spero irripetibile: questa roba qui non ci serve, è solo un surrogato dell'originale. La considero la fine del dibattito. Teniamoci stretta la Sanremo vera, che è e resta una classica, un classico: cioè eterna, immutabile, sempre nuova. Come “Guerra e pace”, come Lucio Battisti, come la pizza margherita. E se qualcuno non coglie il fascino, il problema è solo suo. Si faccia vedere da dottori bravi.