Ha dato una bicicletta a Giuseppe Garibaldi e a Camillo Benso conte di Cavour, al re Vittorio Emanuele II e a Babbo Natale, ad Andrea di Pietro della Gondola detto il Palladio e a Vincent Van Gogh. Ha eletto, tra i suoi corridori, angeli e cherubini, pianisti e violiniste, acrobati e nobildonne. E ha regalato velodromi aeronautici a Venezia e Belfast, a Roma e Trieste, all’Italia.
Vico Calabrò è quell’uomo alto, diritto, distinto, che si aggira al Giro d’Italia, assorto alla partenza, ispirato sotto un campanile, rapito a una fontana, felice su un paracarro, riservato al traguardo. Con sé una cartella, o una cartelletta, da cui estrae le sue opere d’arte. Con solenne leggerezza.
Pittore e disegnatore, litografo e incisore, maestro nell’affresco, Calabrò ama il ciclismo per la semplicità e il silenzio, per il coraggio e la passione, anche per i colori e le linee. Così trasforma le strade in nuvole, la fatica in musica, le biciclette in colombe o rondini. E poi vola. Lui, i suoi protagonisti, il suo mondo.
Ottantadue anni, vicentino di Caldogno, ma agordino di adozione, dal 1980 Calabrò si è legato prima alla Comunità di San Francesco a Facen di Pedavena, poi alla Cooperativa sociale Arcobaleno ’86 a Feltre, disegnando, affrescando, illustrando, e insegnando, sostenendo, partecipando. Ha approfittato della clausura per la pandemia per creare centoquattro opere che il suo amico Aldo Bertelle definisce “di strana bellezza, ora libere di abitare nei cuori domestici, come lungo le valli, sulle cime e nei mari del mondo”. Si tratta di fogli, tavolette e tele, anche ritagli di legno, su cui Calabrò ha lavorato, come rivela lui stesso, “in condizioni particolari, fra le preoccupazioni, con pochi mezzi”.
In attesa di ritrovare Calabrò mentre si aggira per il Giro, le sue opere sono in vendita per sostenere la Cooperativa. Per vederle, avere informazioni e inviare prenotazioni, www.arcobaleno86.com
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