Un ragazzo sorridente, scherzoso, sereno. Una calma insolita quella che accompagna Fabio Aru e che fa pensare che quello che abbiamo di fronte non possa essere la stessa persona che negli ultimi due anni ha sofferto in fondo al gruppo e nel suo privato. Un periodo lungo senza vittorie, rarissime apparizioni nelle top ten e molti momenti in cui chiedersi che fine aveva fatto quel corridore in grado di mettersi in luce già da giovanissimo al Giro, con due podi, e vincere una Vuelta lottando con Tom Dumoulin fino alla fine.
Eppure la risposta potrebbe essere proprio in quel sorriso, nello stare allo scherzo. Un atteggiamento emerso dalla lunghe serate della quarantena dove è tornato ad aprirsi al mondo del ciclismo nelle dirette Instagram con LelloFerrara3.0, l’ex prof napoletano con il dono dell’intrattenimento. Aru è intervenuto, sempre verso le 21, non più tardi perché poi la piccola Ginevra dorme e non vuole disturbarla, e si è concesso a tante domande. Approfittando del momento favorevole e proviamo a costruire un discorso con Fabio. È lui, pacato e gentile, che ci aiuta a capire meglio quale sia la situazione attuale e come il recente passato lo abbia cambiato.
Ti sentiamo più sereno, più saggio, come se avessi subito un importante cambiamento personale e ora fossi finalmente pronto per ritornare.
«La voglia è tanta ed era già tanta da quest’inverno. Al debutto, in Colombia, avevo trovato una buona condizione e la serenità. Evidentemente le due cose si collegano e sono importanti nell’equilibrio di un atleta e di una persona. La prova sudamericana è esigente, si pedala spesso oltre i 2.500 metri di quota, ed io ho lavorato per la squadra, andando bene. Tornando al discorso precedente, dico che quando in bici ti senti male la serenità viene a mancare e il feeling con l’ambiente e con la professione è stato brutto negli ultimi due anni. Forse lo ha percepito anche tanta gente. Solo dopo l’operazione è tornato il sereno, anche se poi una serie di errori hanno fatto nuovamente peggiorare la situazione, certamente anche per colpa mia. Ho imparato che dopo un infortunio come il mio servono pazienza e tempo».
La voglia di rientrare ti ha fatto accelerare nel recupero?
«Con il senno di poi direi che il rientro è stato prematuro. Ma la voglia ce l’avevamo in tanti: io, la squadra e i tifosi che mi volevano di nuovo protagonista. Preferisco prendermi le colpe e non fare polemiche. Certo, potevamo optare per scelte diverse, ma a volte si prendono decisioni comuni e si sbaglia assieme. Per me poteva essere più facile prendere del tempo e tornare direttamente nel 2020, ma non sono fatto così e mi sono assunto le mie responsabilità. Qualcuno comunque ha scagliato la freccia contro di me troppo in fretta».
Fabio, i tuoi podi nei grandi giri sembrano essere ricordi lontani: come vivi la situazione?
«Non è da me cullarmi sul passato. Certo mi capita di pensarci e so di aver fatto ottime cose, ma ora guardo indietro e vedo solo le ultime due stagioni e mi fa male, così come quando vengo preso di mira dagli haters. Quando riguardo quei video, su RaiSport, su Eurosport oppure perché mi taggano su Instagram, ammetto che mi emoziono, nonostante sia passato del tempo. Quello che posso fare in questo sport lo so bene. Ho avuto parecchi rallentamenti, che hanno portato al drastico calo di rendimento. È capitato di avere momenti bui e mi fa piacere raccontarlo alla gente che non sa quello che realmente prova una persona».
Hai avuto paura di non tornare ad essere più lo stesso corridore?
«Sono due anni che non vado. Il dubbio l’ho avuto e sarei ipocrita se lo negassi. Psicologicamente è stata dura. Dalla maglia gialla del 2017 e il tricolore, in pratica in cima al mondo, a ritirarmi dal Giro e staccarmi. Penso di aver fatto un quarto e un quinto posto nelle ultime due stagioni. Credimi, fino all’operazione non avevo capito cosa mi fosse successo».
Chi c’è stato nei momenti difficili?
«Valentina, mia moglie, è la persona che sa tutto di me. Mi ha aiutato il mio procuratore Alberto Ziliani, poi Paolo Tiralongo e Matxin che mi hanno parlato molto. Ho lasciato anche i social, a tratti, e non mi sono goduto niente di quel periodo. Uno pensa che, siccome guadagni dei soldi, allora tutto vada bene nella tua vita. Non è così e non ho vergogna ad ammetterlo. So che ci sono anche persone che stanno molto peggio di me e ringrazio per quello che ho, ma senza la serenità non si vive bene».
La quarantena ha rischiato di complicare ulteriormente questo momento. È stato importante gestire il periodo?
«Sicuramente è stato importante trovare subito una routine. Quando hanno istituito il lockdown ero a Sestriere. Avevo in programma diverse gare come Larciano, Tirreno-Adriatico, Catalunya, Paesi Baschi. Annullata la Tirreno speravo nelle altre corse e mi preparavo in altura. Sono stato lì una decina di giorni, rientrando poi a Lugano una volta capita la situazione. Ne è seguito un periodo di riposo fisiologico perché con 2-3 mesi di stop davanti era inutile spingere. Ho ripreso per gradi e non mi sono sentito subito di andare al massimo. Secondo me non serviva allenarsi troppo. Certi giorni dovevo fare un paio d’ore e salivo solo sui rulli. Altri giorni uscivo, in Svizzera era permesso pedalare su strada, ma per sicurezza il piano era tre allenamenti outdoor e tre di rulli. Nel frattempo ho costruito la palestra in cantina».
In questo periodo è parso che la tua amicizia con il gruppo di italiani, e in particolare con Vincenzo Nibali sia cresciuta a dismisura?
«Certamente. Ci capita di trovarci tutti assieme. Con Diego Ulissi e Domenico Pozzovivo ho un ottimo rapporto, mentre Alberto Bettiol ho imparato a conoscerlo un po’ alla volta e ci passo bene delle ore. Con Vincenzo confesso di aver ritrovato un’unione che in passato non avevo mai avuto, anche per miei errori. Abbiamo due caratteri forti, siamo isolani. Anche io sono maturato parecchio negli ultimi anni e ora siamo affiatati. A parte il giro in bici dei quattro passi, con la maxi pedalata da 9 ore a fine maggio, ormai siamo assieme da due mesi . Se non vai d’accordo, non trascorri tanto tempo con qualcuno».
Com’è allenarsi con tanti campioni?
«Ci divertiamo molto ed è facile che scatti la bagarre. Io accendo la miccia e poi si salvi chi può. Ci veniamo comunque incontro. Ognuno ha preparatori diversi e ci si allena in modo differente. A volte uno deve fare la salita tranquillo mentre un altro ha dei lavori, ma è un bel mix».
E questa tua disponibilità social com’è? È figlia della quarantena o sei sempre stato così?
«Nel ciclismo, rispetto ad altri sport, siamo più disponibili. Ora c’è stato più tempo da dedicare ai tifosi, ma anche quando siamo per strada abbiamo sempre un momento per gli altri. È capitato di fermarsi anche quindici volte per una foto. Alle gare è diverso, alle partenze, o peggio ancora agli arrivi, c’è l’adrenalina della corsa».
Guardando all’attualità, come giudichi la vicenda Armstrong ed il fatto che Filippo Simeoni sia per il reintegro del texano nel mondo del ciclismo?
«Non ho seguito bene la carriera di Lance perché io ho iniziato a correre tra i professionisti quando lui aveva già concluso la sua parabola. Comunque la penso come Simeoni, dovrebbe essere reintegrato. Indubbiamente non è stato bello per lo sport quello che ha fatto, ma un’altra possibilità va concessa a tutti».
La tua collaborazione per far tornare il ciclismo professionistico in Sardegna?
«Non so come si evolverà la situazione, ma avevo dato la mia disponibilità a collaborare ad uno sviluppo del progetto. Purtroppo ho gareggiato nella mia terra solo da juniores, sarebbe bello tornarci».
Durante queste settimane ci hai permesso di scherzare sul tuo contratto, come procede il rinnovo. Con il Team i rapporti sono buoni?
«Parlare di rinnovo ora è prematuro e per quanto mi riguarda il rapporto con la squadra è buono. Ci siamo confrontati molto, c’è voluto del tempo per creare il rapporto. Per ora al rinnovo non ci penso, anche se questo sarebbe stato il momento giusto per parlarne, in condizioni normali, per arrivare ad agosto con le idee chiare. Ora i tempi si sono spostati e arriveremo ad ottobre per vedere concretizzate le trattative. Ci tengo comunque a sottolineare che la squadra si è comportata benissimo con tutti noi, non ci ha fatto mancare nulla».
I programmi agonistici cosa dicono?
«Con la squadra abbiamo deciso di programmare il il Tour e abbiamo calibrato a dovere l'avvicinamento a questo grande appuntamento. Ora aumenteremo l’intensità e i volumi dell’allenamento con un training camp in altura a luglio prima delle gare».
Ti rivedremo nelle dirette serali?
«Certamente sì, ma voglio essere tra i primi a collegarmi».
da tuttoBICI di giugno
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