Nel balletto delle date, dei propositi buoni o interessati (di rado però i due aggettivi coabitano bene nei riguardi dello stesso soggetto) per quel che riguarda il calendario nuovo del ciclismo sotto virus, più o meno tutto il mondo della bicicletta si deve essere reso conto che ci sono due mondi: quello del Tour de France e quello di tutto il resto del pedalare agonistico. Mi rendo conto che scrivendo queste righe porto il mio piccolo contributo, se non altro prendendo sul serio il tutto, alla supremazia del mondo-Tour. Ma se è vero che ci sono squadre che esistono soltanto in funzione del Tour de France inteso come vetrina pubblicitaria, bisogna essere realisti e tirare avanti. Idem se è vero come magari è vero che quasi tutti i ciclisti al mondo baratterebbero un successo al Tour con cento altri successi in cento altre corse anche a tappe. Tirare a campare, dunque, e magari a qualcosa di più.
Uno dei capi del Tour ha detto, scartando l’idea di una Grande Boucle senza pubblico, che nella dizione “Tour de France” la parola più importante è la terza, France. Con echi sonori di grandeur, si capisce, e magari France detto solennemente come lo diceva l’ispettore Clouseau della “Pantera rosa”, quasi un Fronce per dare grevità ulteriore al bisillabo. Legittimo anche sorridere, ma non troppo, pensando a come noi italiani diciamo impeccabilmente Tour de France alla francese, da osservanti, mentre loro mai dicono Giro d’Italia all’italiana, casomai Tour d’Italie o Girò con la tutta loro “sg” iniziale. Il Tour in effetti è una sorta di ricomposizione annuale della Francia intesa o patita o combattuta come permanente terra capitale intellettuale del mondo. Una Francia, da sottolineare, assai più vasta come superficie dell’Italia e però con meno abitanti dell’Italia. I comuni francesi, molti, sono fieri di essere legati fra di loro dal filo della corsa, idem le città classiche e importanti (poche, in fondo) visitate di fisso dall’itinerario giallo, ogni tanto qualche scoperta di qualche posto nuovo… Ma soprattutto il senso e - di più - il sentimento di comunicare al mondo un’idea di qualcosa di grande, di speciale,di culturale, di unico con il Tour. Il che fa sì che quasi tutti i francesi se ne freghino del fatto che un francese non sfila in giallo a Parigi dal 1985 Bernard Hinault (pronti però a celebrare un eventuale successore come il pontefice massimo del ciclismo, ci mancherebbe).
Ma non vogliamo riscrivere della conclamata superiorità storica del Tour nei riguardi non solo del Giro, ma del ciclismo tutto, quanto dolerci del fatto che sia stata forse sprecata un’occasione per cambiare le date del Giro senza costrizione da virus, o casomai approfittando di essa, come si è fatto e si è dovuto fare, ma non con l’intento di tornare allo status quo ante non appena possibile. Siamo al punto: un Giro in agosto, ecco l’idea nostra, sì, con nessun problema di innevamento anche andando a cercare le cime più alte, con fra l’altro la funzione di rivincita immediata del Tour anziché, come quasi sempre adesso, di palestra di allenamento per chi pensa soprattutto al Tour. Ma soprattutto con una valenza che ci piace definire da sdraio e ombrellone (ovviamente pensiamo ad un’Italia dove riprende la classica bella giostra delle vacanze).
Un Giro agostano fisso, non con data provvisoria. Un Giro che si propone alla gente, specie italiana ma anche arrivata in Italia dall’estero per il rito del turismo quando c’è lo stacco per le ferie, per le vacanze generali che dovranno pure riprendere nel dopo Coronavirus... Un Giro che celebri in modo nuovo la bicicletta. Non solo mezzo di spostamento, non solo mezzo di pratica sportiva, non solo strumento di sperimentazioni anche spinte (pedalata assistita, uso di metalli rari, esplorazione del limite umano e pazienza se con aiutini chimici), e non solo alternativa alla motorizzazione , con conseguente forte e facile valenza ecologica. Tutto déjà vu, per continuare con la lingua di Molière.
E invece (o inoltre, o addirittura) la bicicletta, il ciclismo che è la sua palestra, il Giro che è il suo palcoscenico, i ciclisti che sono gli attori, tutto inteso come occasione umanistica - massì - per la restaurazione del senso, del sentimento, della stima per la fatica umana. Una riscoperta se si vuole degli impegni legati al peccato originale, nei secoli dei secoli attutito, se non anche irriso in talune sua minacciate conseguenze, dalle comodità, dal progresso, dalla tecnologia: come per la donna la riscoperta del parto doloroso senza cesareo troppo facile e snaturante.
Troppo? Troppo in assoluto, e troppissimo se si pensa ad un messaggio simile affidato in fondo a quattro gatti che pedalano per tre settimane? Varrebbe la pena provare. L’agosto del Giro d’Italia come un intenso mese di ramadan, di digiuno, di clausura, di ritiro spirituale che significa poi espansione dello spirito. Ci fermiamo qui, ci siamo buttati in una discesa folle e andiamo così veloci che le gambe girano a vuoto...
da tuttoBICI di maggio