Alberto Bettiol è fisicamente a Lugano, al tempo del coronavirus, ma il suo cuore e la sua mente sono in Toscana, a Castelfiorentino, dove si trovano i suoi affetti più cari e tanti amici: «Manco dalla Toscana da febbraio, sono rientrato in Svizzera proprio quando si è acuita la crisi relativa al coronavirus. Comunque utilizzo Skype, Whatsapp e i social ogni giorno per parlare con i miei genitori Marco e Laura e con mio fratello Cosimo. La mia fidanzata, Giulia, è rimasta bloccata a casa proprio quando stava per raggiungermi, a causa delle sopravvenute limitazioni agli spostamenti. Nessuno avrebbe mai immaginato che scoppiasse una pandemia simile, tale da avere sviluppi preoccupanti anche in Toscana, come mi ha confermato il sindaco di Castelfiorentino».
Alberto è comunque un ottimista, una persona che vede sempre il bicchiere mezzo pieno e che persegue i propri obiettivi con calma e determinazione assoluta. Il suo palmarès lo testimonia: dopo gli importanti trascorsi nelle categorie minori, è passato professionista nel 2014 con il team Cannondale ed ha ottenuto la prima vittoria con la BMC nel 2018, la cronosquadre alla Tirreno-Adriatico. La consacrazione a talento emergente e qualcosina in più, è arrivata lo scorso anno, quando ha dominato il Giro delle Fiandre in maglia EF Pro Cycling Team.
Ottimo l'avvio del 2020, con la vittoria nella cronotappa e il secondo posto nella classifica finale dell'Etoile di Besseges, in Francia, ma poi...
«Poi, purtroppo, è arrivato questo coronavirus che ha fermato ogni cosa. A dire il vero qui in Svizzera non siamo isolati nelle abitazioni come accade in Italia, la gente esce anche se non si possono fare assembramenti con più di cinque persone e c'è un minimo di vita sociale anche se la preoccupazione è latente. Insieme ad altri ciclisti italiani che risiedono a Lugano possiamo effettuare addirittura delle sedute d'allenamento in bici ma, ad essere sincero, questa opportunità non mi piace affatto. Penso che se qualcuno di noi cade e si fa male, ben difficilmente potrebbe poi avere assistenza e cure appropriate negli ospedali, pressoché saturi per i ricoveri dovuti al virus».
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, Bettiol non è arrabbiato per lo stop imposto all'attività ciclistica.
«La prendo con filosofia, com'è nel mio carattere. Quest'anno effettivamente ero partito molto bene e pensavo di poter disputare un'ottima Tirreno-Adriatico, ma di fronte a queste tragedie bisogna pensare che, quando c'è gente che soffre e muore come a Bergamo e in Lombardia, tutto il resto dovrebbe passare in second'ordine. Mi ha fatto male al cuore vedere l'esercito e la sfilata di bare nel baergamasco, dove ho amici e colleghi che stanno vivendo ore tragiche: un esempio su tutti è Sonny Colbrelli».
Nessun rimpianto per mondiali e Olimpiadi?
«Dopo il rinvio delle Olimpiadi, spero tuttora che l'attività ciclistica possa riprendere in tempo utile almeno per salvare la stagione 2020. La maglia azzurra mi ha sempre fornito grandi motivazioni e con il CT Cassani esiste un bellissimo rapporto di fiducia reciproca. Lui sa che se gli dico di essere pronto questa è la verità, com'è accaduto ai mondiali di Bergen e di Harrogate. Io non baro mai, se capisco di non essere all'altezza, allora mi chiamo fuori per primo».
Nel calcio sembrano esserci più contagiati che nel ciclismo.
«E' così perché nel calcio sono stati fatti i tamponi, mentre nel ciclismo quasi nessuno si è sottoposto a questo test ma è da gennaio che in gruppo circolavano voci di una strana influenza, diversa da quelle abituali. Anche alla Parigi-Nizza in molti avevano il dubbio che ci fossero in gara dei contagiati, ma non si è approfondito l'argomento».
Intanto i calciatori non sembrano voler accettare di buon grado una riduzione del loro stipendio.
«Non mi stupisco affatto. Noi ciclisti, anche se non gareggiamo, abbiamo in questi giorni tanti impegni, su Instagram, Whatsapp, con gare sui rulli eccetera. Quindi, in teoria, lo stipendio dovremmo percepirlo ugualmente; comunque mi dichiaro pronto a devolvere il 10% delle mie spettanze se questi soldi saranno spesi per la terapia intensiva negli ospedali in prima linea contro il virus e questo lo farei molto volentieri».
Nel dopo-virus si paventa una crisi economica epocale, che inevitabilmente toccherà anche gli sponsor dello sport.
«Mi sembra inevitabile e ritengo che presto sarà utile mettersi, noi addetti ai lavori e gli sponsor, attorno a un tavolo per discutere concretamente sul da farsi, cercando di evitare soluzioni drastiche».
La conclusione dell'intervista non può che riguardare il coronavirus.
«Ho l'impressione che in Italia si sia perso troppo tempo, specialmente all'inizio del contagio. In Svizzera si stanno organizzando meglio, pur senza chiudere tutto o costringere la gente a “detenzioni” casalinghe. La popolazione qui è molto più disciplinata. Comunque questa pandemia è terribile, a me sembra di vivere in un film e l'auspicio è che si arrivi prima possibile a realizzare un vaccino efficace, anche per far riflettere seriamente tutti coloro che negli anni passati si erano schierati apertamente contro ogni tipo di vaccino».