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In una parola: autisti. Ma per la verità, molto, moltissimo, infinitamente di più: navigatori e accompagnatori, informatori e osservatori, e poi segretari e assistenti, e ancora psicologi e psicoterapeuti, perché alleati, complici, amici. Per la macchina, ma anche per la pelle. Una coppia di fatto, una convivenza di strada, un matrimonio a tempo determinato. Un tandem, un binomio, un duetto. Con Gianni Mura era così.
Carletto Pierelli (nella foto in apertura) fu sostituito da Alessandro Grazioli. La staffetta poteva essere traumatica: Carletto milanese e Alessandro romano, Carletto stagionato e Alessandro sbarbato, Carletto collaudato e Alessandro debuttante. Fu, se non proprio amore, un’intesa a prima vista, a prima guida. Alessandro Grazioli, che lavorava alla Fandango (e adesso alla Sellerio), per guidare (e farsi guidare da) Gianni Mura, prendeva le ferie. Le più belle vacanze della sua vita.
Nel 2016 l’onore toccò a Fabrizio Cadelano, che per guidare (e farsi guidare da) Gianni Mura prese le ferie dalla “Gazzetta dello Sport”. “Fu un viaggio. Anzi: fu il viaggio. Non di lavoro né di vacanza, ma di piacere e di conoscenza. La partenza da Milano un paio di giorni prima dell’inizio del Tour, per fare il pezzo della vigilia, e il ritorno a Milano un paio di giorni dopo la fine del Tour, per dare le pagelle. Mi diceva: ‘Sei stanco, guido io’. Mai successo, altrimenti che cosa sarei andato a fare? Al resto ci pensava lui: scelta degli alberghi e dei ristoranti, acquisto dei quotidiani e delle riviste, anche opera di traduzioni e interpretariato. Colazione verso le nove se già compresa nel prezzo dell’albergo, altrimenti, per non pesare sui conti del giornale, nel primo bar di genere popolare. Pranzo al buffet riservato ai giornalisti e allestito vicino alla sala-stampa. Ai pacchetti di sigarette ci pensava lui, per lui, perché io non ho mai fumato, ai bicchierini di caffé ci pensavo io, sempre in sala-stampa. E a proposito di fumo, da quando era stato vietato al chiuso, lui individuava il punto giusto all’aperto e lì io allestivo il banchetto. Cena in una trattoria o in un ristorante, a volte anche quello dell’albergo, aveva guide collaudate ma anche un fiuto istintivo. Poi raccontava, spiegava, descriveva, ricordava. Era un onore”.
Fabrizio Cadelano al fianco di Gianni Mura
Era un onore, sempre, dovunque. “Da tutti era conosciuto e riconosciuto. Innanzitutto i colleghi italiani, sempre meno, date le ristrettezze. Alessandra De Stefano, conclusi i collegamenti, passava a trovarlo: c’era una stima particolare. E i giornalisti stranieri, da Philippe Brunel dell’’Equipe’ a Carlos Arribas del ‘Pais’. E quando arrivava in sala-stampa, Christian Prudhomme – il direttore del Tour – non mancava mai di rivolgergli un saluto o un commento o un complimento o un ringraziamento”.
C’erano, come un rito tradizionale, le cartoline: “Due o tre volte, a pacchetti di 10 o 20”. C’erano, come una colonna sonora, i cd: “Da Sergio Endrigo a Fabrizio De André”. C’erano, come in tutti i viaggi, le avventure: “Andorra. Si finì stranamente tardi. Si cercò un posto dove mangiare. Da fuori sembrava una pizzeria. A quell’ora bisognava accontentarsi. Invece, dentro, c’erano prelibatezze, come certi peperoni fritti mai prima e mai più mangiati così buoni. Il giorno dopo tornammo lì, proprio per i peperoni, ma ne era rimasta soltanto una mezza porzione”. Per Cadelano quello fu l’ultimo dei suoi 17 Tour: “Lo considero l’Oscar alla carriera, un 13 al Totocalcio”.
Gianni Mura gioca a carte con Gaetano Pecchio
Nel 2017 e 2018 l’onore premiò Gaetano Pecchio, anche lui scuola “La Gazzetta dello Sport”. “All’inizio lo sentii più come un onere. Ero prudente, pudico, vergognoso, un po’ intimidito, quasi impaurito per la responsabilità, il prestigio, anche l’orgoglio di accompagnare il più grande dei giornalisti italiani, e non solo di ciclismo. Con gli inviati della Rosea si viaggiava in tre o in quattro, erano più giovani e anche più esigenti, perché si andava alla partenza e poi all’arrivo. Con lui, invece, si andava direttamente all’arrivo per vedere la tappa sugli schermi in sala-stampa. Giorno dopo giorno, mi sciolsi. Ma il merito fu suo. Perché era semplice, immediato, se doveva dire diceva, se doveva fare faceva, se doveva chiedere chiedeva. E dall’alto della sua figura, delle sue conoscenze e del suo francese, mi rendeva più facile la vita”. Tanto da istituire una quotidiana sfida a carte: “A scopa semplice. Alla fine mi presentò il conto. Aveva vinto lui 14 a 3. Merito di una memoria formidabile. Ricordava tutte le carte. E all’ultima mano mi diceva sempre quelle che avevo io”.
Pecchio sostiene che Mura fosse una sorta di Guida Michelin vivente: “Conosceva alberghi e ristoranti a memoria”. Sostiene che fosse anche una carta del Touring vivente: “Statali e autostrade, infine i cartelli per il scovare il PPO (pointe de passage obligatoire), la via di accesso riservata alle macchine accreditate a stare in corsa. Era una garanzia”. Con lui andava sul sicuro: “Una sera ci trovavamo nella campagna francese. Sospirò: ‘Stasera si salta’. Poco dopo profetizzò: ‘Sento odor di ristoranti’. Entrammo in un paesino e c’era un posticino che sembrava aspettarci. Ci sedemmo, ordinammo, cominciammo a mangiare. Si avvicinò un pastore tedesco di una decina d’anni. Gianni allungò la mano sinistra e gli dette qualcosa da masticare. La padrona, arrabbiata, richiamò il cane e il cane, ubbidiente, si allontanò, tranne poi tornare da Gianni per leccargli la mano sinistra. Il suo modo per ringraziarlo”. Sì, una vera sicurezza: “Anche quando per un disguido rimasi senza camera. Mi ospitò nella sua. Non dormii granché. Un po’ per l’emozione mia, un po’ per le apnee sue. Fu comunque una notte indimenticabile”.
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