Ogni tanto trovo chi, prendendomi forse sul serio (i miei otto nipoti no, mai, grazie a Dio), e recitando o simulando memoria-attenzione-omaggio per quella che lui chiama mia carriera e io chiamo, esagerando eccome, mia bella sfacciatamente fortunata vicenda, mi chiede se ho preferito il giornalismo di ciclismo (28 Giri d’Italia, 15 di Francia, decine di Mondiali e classiche) o quello di calcio (7 Coppe del Mondo, 3 Europei, una infinità di partite diciamo di alto livello, club e Nazionale). Non gli appioppo anche dieci anni di Formula 1 in giro per il pianeta, infinite gare di sci, tanta grande boxe e anche un Mondiale di ping pong.
Gli rispondo invece che ho preferito deontologicamente il giornalismo olimpico (25 edizioni dei Giochi fra estivi e invernali, temo persistente zavorrante record del mondo), all’inizio incentrato sul nuoto, il mio sport agonistico da ragazzo, poi sull’atletica (omaggiata dal vivo con due mie maratone finite a più di sessant’anni). Se mi chiede la diciamo performance giornalistica massima, gli offro di scegliere fra una intervista esclusiva di ore a Muhammad Alì ex Cassius Clay nel 1974 e - mia preferenza - il trasporto da Roma 1960, sulla mia Fiat 600 comprata a rate, alla nostra Torino di Livio Berruti, amico/fratello, compagno di scuola, freschissimo d’oro olimpico sui 200 metri: un giorno risalendo l’Italia, tanta gente omaggiante da salutare, appena 50 chilometri di autostrada (Genova-Serravalle), lui molto spesso dormiente, io sempre al volante fermato e multatissimo dalla Stradale per semafori rossi ignorati, un viaggio entrato nei libri di storia dei Giochi.
Ma se il tipo del quesito esistenziale insiste, e di solito insiste, chiedendomi di scegliere fra ciclismo e calcio, gli dico che non c’è gerarchia. Nel senso che sono due lavori, due mestieri se si vuole, assai diversi. Il ciclismo è ricostruzione dei fatti all’arrivo e in sala-stampa, fantasia, paesaggio, contorno, fughe in avanti, ristoranti sommi. Ci sono stati esimi giornalisti cantori che non hanno mai visto in tanti Giri un ciclista pedalante, che sono sempre schizzati con l’auto in cerca di tavole solenni, amici antichi, rendez-vous speciali e mica sempre raccontabili. Eppure hanno scritto pagine splendide di ciclismo: che sia merito dello sport più che loro?
Io ho e coltivo ricordi di Tour de France nel caldo drammatico di luglio, città di sera schiacciate dall’afa, cene pazzesche, bevute sublimi, il forte sapore intellettuale della provincia francese, unico al mondo, goduto sino a notte inoltrata. E alberghi sommari, poveri, nella Francia che stava inventandosi l’hotellerie e le autostrade. E Mario Fossati, il più bravo di tutti noi, che mi diceva: “Domani ci raggiunge Gianni Brera, ceniamo insieme?”. Del Giro ricordo donne strepitose nel Sud, uomini scolpiti grezzi del Nord, tifosi con quesiti morbosi (oh la Dama Bianca…), tanti chilometri avanti alla corsa con Gino Bartali a omaggiare matrimoni , battesimi, comunioni, fidanzamenti, lauree. O a far omaggiare Gino. Scherzi sublimi in un’Italia credulona sapendo e godendo di esserlo, e per questo capace di divertirsi con se stessa, il più bel giocattolo del mondo. Ricordo della Francia che amo le sere con Dalida che voleva parlare italiano e dopo lo spettacolo al seguito del Tour mi cercava per chiedermi come si traduce in italiano performance, delusa perché le dicevo performance, identico. Le risate speciali al Giro con Tognazzi, Vianello, Noschese, Bramieri.
Il calcio? Per le giornalisticamente ambite Coppe europee trasferte sull’aereo della nostra squadra, calciatori in prima classe con champagne libero, giornalisti in turistica (mi accadde anche da Milano a Tokyo, interminabile, per una finale mondiale di club), giornalisti tutti insieme all’albergo sul loro torpedone, idem allo stadio per l’allenamento, servizi rimediati con qualche bla-bla-bla, cena squallida all’hotel straniero, il giorno dopo la partita, tutti che vedono le stesse cose e ne scrivono, e poi di corsa a prendere l’aereo per tornare a casa all’alba. Non dico delle partite di serie A in Italia, uno strazio del nulla, quanto a contorno. E ai Mondiali il filtro di controlli sempre ottusi e tremendi, ore e ore in anticipo allo stadio per sentirsi automi cretini perfetti. Comunque sempre la partita con tutti che vedono la stessa cosa talora in modi assai diversi, panini su panini, la sala-stampa, per lo scambio di informazioni e persino pareri, l’albergo purchessia, e il giorno dopo si riprende.
Una sera di Tour de France con un professorastro intellettuale di provincia che mi chiede di parlare latino con lui, e ci sto ma faccio pena, vale cento sere di grandi coppe calcistiche dietro a una squadra nostrana famosa. Se qualcuno vuole, segue dibattito.
da tuttoBICI di gennaio