Un anno di incontri, appuntamenti, impegni. Un anno di caselli, chilometri, parcheggi. Un anno di ricordi, racconti, testimonianze. Un anno di emozioni, commozioni, malinconie. Un anno di microfoni, telefoni, messaggi. Un anno – coppiano - nel nome del padre.
Faustino (no, non si offende se lo si chiama ancora Faustino, come se fosse un eterno bambino) vive il suo anno coppiano nel nome del padre. Nei nomi (Fausto Angelo) e nel cognome (Coppi), nella somiglianza, nella discrezione, nella riservatezza, nel pudore, nel sorriso. Lui che vide sparire il padre con due barellieri e un’ambulanza, erano le quattro e mezzo del pomeriggio del primo gennaio 1960: “Non è vero che mio padre fosse già in coma, era debole, ma cosciente e lucido, mi disse ‘Papo, non far arrabbiare la mamma’”. Lui che vide sparire anche la madre: “Da quel giorno non fu più la stessa, venne ricoverata in una clinica, fece la cura del sonno, tornò a casa senza più luce, senza più voglia, senza più vita”. Lui che vide sparire anche la sua infanzia, la sua adolescenza, la sua normalità: “Ero affidato a una ragazza, andavo a scuola in taxi, a volte mi capitava di incontrare – per caso – mia sorella Marina, ma eravamo distanti, ignoti, estranei”.
Faustino che partecipa a celebrazioni e rievocazioni (insieme, recentemente, a Castellucchio, vicino a Mantova), ma teme le parole già dette e ridette, le domande inevitabili, le risposte previste. Lui che “non ho mai pensato di correre in bicicletta, non avrei potuto né saputo fare un centesimo di quello che realizzò mio padre”. Lui che però ha riacquistato due delle quattro biciclette che suo padre aveva in casa, “prestate e sparite, mai più restituite, le tengo lì com’erano e dov’erano”. Lui che ha riacquistato anche il numero di telefono fisso che apparteneva a suo padre: “In un cambio di gestione, era stato sottratto a noi e dato a un camionista. Lo cercai per domandargli se fosse possibile riprenderlo. E il camionista accettò al volo, felice, non ne poteva più di gente che gli telefonava pensando di chiamare casa Coppi”. Lui che “una volta ho visto Gino Bartali e ho chiesto di poterlo conoscere, eravamo al Giro d’Italia, gli strinsi la mano e gli dissi il mio nome, lui probabilmente non capì bene, stava guardando la tappa in tv, mi fece un sorriso di circostanza, poi mi chiese di spostarmi perché gli coprivo lo schermo”. Lui che invece ascolta tutti quelli che gli raccontano un incontro, un incrocio, un istante e la successiva, immediata folgorazione, “avrei dovuto prenderne nota, ne avrei fatto un libro, per me, per i miei figli, per tutti”.
Fra il centenario della nascita (lo scorso 15 settembre) e il sessantesimo della morte (il prossimo 2 gennaio) di suo padre, Faustino si scopre, quasi ogni giorno, al centro di una famiglia sempre più numerosa: “Chi aveva corso con mio padre, chi lo aveva visto correre, chi ne colleziona figurine, chi cartoline, chi borracce, chi porta una sua foto nel portafoglio, chi ha scritto un libro su di lui, chi mi regala una fotografia, chi un disegno. E io cerco di prendere qualcosa da tutti per riavere quello che mi è stato tolto: un gesto, uno sguardo, una parola”.
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