Quest'oggi, proprio nel giorno del Mondiale dei prof, Felice Gimondi avrebbe compiuto 77 anni. Il grande campione bergamasco ci ha lasciato lo scorso 16 agosto e vogliamo rendergli un nuovo omaggio proponendovi l'articolo che gli ha dedicato Gian Paolo Ormezzano sul numero di settembre di tuttoBICI.
È morto Felice Gimondi, sono in enorme debito con lui. Ero fuori Italia quando ho saputo, non sono andato al funerale, d’altronde ormai vado di rado a questi saluti sempre più frequenti ad amici del mio tempo. Male alle gambe ed al cuore. Ora cerco di saldare o ridurre il debito con il mio solo mezzo, la scrittura: magari gaglioffa, ma sincera. Offro in lettura un mio Gimondi speciale, il cui massimo è alla fine, diciamo che ammollo una lettura in progress. Che i lettori, Dio e Felice mi perdonino.
Primo mio Gimondi anno 1964, Tour dell’Avvenire per dilettanti, domenica mattina a Parigi, si va allo storico velodromo detto Parco dei Principi per vedere l’arrivo e la vittoria finale del ragazzo italiano, io sono agli esordi nel giornalismo grosso, con Mario Fossati, il grande collega, il più bravo di tutti, un guru. Lui scende dal marciapiede per attraversare la strada, vedo un bus che irrompe, afferro meccanicamente Mario, lo tiro indietro, il bolide lo sfiora. Appena in tempo. Mi guarda e dice: “Ti devo la vita, come si fa adesso?”. Ridiamo, ma da allora e sempre Mario mi ha voluto un bene speciale, al Tour concretizzato ad esempio negli inviti a cena: “Arriva Gianni Brera, vuoi stare con noi?”. Tanto lavoro insieme, tanta stima reciproca, sin troppa la sua per me. Non sono andato al suo funerale. Da quel giorno a Parigi però per me Gimondi è stato unito in un certo modo a Fossati.
L’anno dopo Felice professionista al Giro d’Italia, all’inizio una tappa che si conclude sulla Riviera Ligure, Sergio Zavoli chiama quel giovanotto, professionista esordiente nella squadra Salvarani, per farsi raccontare una fase della corsa in cui è stato staccato persino il grande Anquetil, il ragazzotto racconta e dice fra l’altro: “Da quel momento nel gruppo c’è stato un grande casino”. Parolaccia, allora: Sergio lo rimprovera in diretta e lo mette in una lunga quarantena senza televisione.
Stesso anno. Terzo al Giro vinto dal suo capitano Adorni, Gimondi, scelto in extremis per il Tour, si trova a rimpiazzare nelle velleità di classifica proprio Adorni che ha patito un mal di pancia . Felice ha preso la maglia gialla, l’ha difesa, sta per vincere la grande corsa che chiamavamo alla francese “grande boucle” senza sapere perché (boucle, femminile, in italiano boccolo, ricciolo, grosso modo il disegno del tracciato nella carta geografica di Francia). Dal giornale mi comandano una sua maxibiografia in tante puntate. È l’antivigilia della conclusione a Parigi, vado al suo albergo, gli dico che sono in crisi di sue storie, si offre stragentile per raccontarsi, facciamo persino tardino, quasi si scusa con me se deve licenziarmi, lui ha da dormire bene per vincere il Tour. Gli dico che adesso devo guidare l’auto del giornale per tanti chilometri, l’ho presa all’autista che mi aspetta dormendo in un albergo lontano. Mi offre un giaciglio: “Nella stanza di uno di noi (Falaschi, se ricordo) ci sono due letti, chi doveva dormire con lui si è ritirato da tempo. Accetto, dormo lì, il corridore ha un po’ di bronchite, tossisce nel sonno riesco persino a pensare che mi disturba, sono blasfemo ma in silenzio.
Sempre più gimondiano, gimondoso io, anche quando arriva a togliergli un bel po’ di scena Eddy Merckx che pure è mio amico conosciuto in Belgio quando era poco più che nessuno. Molta confidenza con Felice, che intanto con la bella dolce Tiziana mette su famiglia, ha due figlie, Norma e Federica, e un giorno mi dice: “Senti, come tanti a Bergamo le mie due bambine sono anche juventine, te le mando a Torino e tu le porti a conoscere Cabrini”. Erano tutte innamorate del bell’Antonio, tutte di tutte le età. Io lavoricchiando per un documentario della Rai avevo portato le mie due figliolette addirittura a recitare, in filmato, una sorta di agguato, loro due dietro un albero e Cabrini (disponibilissimo pur sapendomi tifosissimo del Toro) che passava di lì e che veniva intercettato. In un certo senso Felice mi consentì, con la sua richiesta esaudita, di sentirmi meno colpevole di elasticità giornalistica. Gli dissi persino che le mie Olivia e Maria recitavano una poesiola: “Gimondi - con gli occhi rotondi - la bici quadrata - la testa scassata” E lui sorrise, si capisce: “Le sourire di Gimondi” era il titolo di un articolo quando l’Equipe aveva scoperto il campione dolce e forte (poi Paolo Conte avrebbe cantato per Bartali “gli occhi allegri d’italiano in gita”).
E sono al massimo, mio Felice: giocando al gioco di fare il giornalista intervistatore neoclassico gli chiesi una volta cosa avrebbe fatto se gli fosse stato offerto un atto assoluto di potenza, però senza cavarsela col troppo facile, tipo”eliminare la povertà nel mondo”, no. Una cosa tutta sua, personalissima. Mi disse subito: “Poter tornare indietro e chiedere scusa, uno per uno, a tutti i miei tifosi, e specie se italiani all’estero, che agli arrivi ho trattato male, per esempio scacciandoli sgarbato quando mi davano colpetti di amicizia sulle spalle”. In ormai 66 (numero satanico, aiuto) anni di giornalismo soprattutto sportivo mai ho sentito una frase così nobile, pronta, bella.
Felice mi legge, lo so, e allora gli dico anche che, se per un recente bel libro di Beppe Conti ho elencato i dieci più grandi, secondo me, nella storia del ciclismo e ho scordato lui, mettendoci però Van Looy e Maspes, è stata per mia pura demenza senile, una dimenticanza così grande da non avere spiegazioni di nessun genere. Potrei, ecco, cavarmela dicendo che lui per me è stato addirittura sopra (ergo fuori) in ogni classifica, ma sarebbe troppo comodo, un po’ ipocrita, non esatto. Anche se per quel che riguarda la classifica delle frasi raccolte da me presso grandi campioni nobili lui è il primo, il massimo, e chi se ne frega di altre elencazioni, di altre statistiche?
da tuttoBICI di settembre
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