Le accuse vengono da lontano, in questo caso dal Belgio, passando per l’Inghilterra, prima di approdare da noi. Accuse di abusi e molestie a cicliste di livello, diciamo professionistiche, anche se questa qualifica le donne non possono ancora permetterselo, soprattutto qui da noi in Italia.
Accuse che arrivano da lontano e ci riguardano. Arrivano da lontano perché anche da noi, da almeno vent’anni, torna periodicamente d’attualità il problema che resta sempre catalogabile alla voce rumors, voci o “sentiment” si direbbe oggi. Tante le famiglie di ragazzine minorenni che si trovano a che fare, in un ambiente prevalentemente maschile, con comportamenti non propriamente consoni, e anche molte ragazze che in passato si sono lamentate con la dirigenza azzurra di atteggiamenti discriminatori.
Accuse che vengono da lontano dicevamo, e che sono state raccolte da Silvio Martinello, oro olimpico ad Atlanta, uno dei più grandi pistard italiani della storia e ottimo corridore stradista, per anni voce tecnica della tivù di Stato e oggi voce di Radio Rai, che nel 2007 presentò al Consiglio Federale della Federciclismo una dettagliata relazione nella quale, tra le altre cose, riportava il disagio di diverse atlete di livello nazionale . «Ho letto ieri quanto è stato scritto da cyclingnews e il Corriere della Sera mi sono tornate alla mente quei giorni in cui ricoprivo la carica di Direttore tecnico generale – racconta Martinello -. È chiaro che l’argomento è delicatissimo e va trattato con i guanti, ma dal novembre 2005 al settembre 2007, quando poi decisi di chiudere quell’esperienza in seno alla Federciclismo, ho avuto modo di raccogliere diverse testimonianze da parte di genitori di ragazzine minori e di atlete che non tolleravano più certi metodi e comportamenti al limite della decenza. Non posso andare oltre, mi limito a dire che c’erano tecnici che non mantenevano per lo meno un comportamento idoneo al ruolo che ricoprivano».
Martinello non si fa cogliere impreparato, conosce molto bene l’argomento. Da una parte c’è una Federazione che non muove foglio senza una testimonianza, una presa di posizione o una denuncia. Dall’altra ragazze e famiglie che non trovano il coraggio di parlare.
«È così, l’argomento è scottante quanto delicato, ma ognuno fa la propria corsa e nessuno ha voglia di fare il primo passo – prosegue Martinello -. Quando diedi le dimissioni presentai un dossier dettagliato e poi, in un secondo tempo, visto che riguardava le squadre nazionali mi presi la briga di parlarne a quattrocchi anche al Presidente Federale Renato Di Rocco. Mi ascoltò, dandomi l’impressione di conoscere molto bene l’argomento, ma mi disse che se nessuno aveva la forza di sporgere denuncia era difficile fare dei passi. Io credo invece che al proprio interno qualcosa si potesse già fare allora. Si potevano avviare delle indagini e verificare quella ridda di voci che circolano insistentemente da anni. Nessuno ci vieta di agire in autonomia, seguendo la politica del buon padre, senza che un giudice disponga qualcosa. Ho ancora davanti a me l’immagine di una ragazza che chiese di potermi parlare e con le lacrime agli occhi mi raccontò di violenze subite da parte di un tecnico. Le dissi di avere fiducia nella giustizia e di parlare, ma non se la sentì. Oggi non corre più e non è più nel giro azzurro. Non è più nel mondo del ciclismo e credo che non ne voglia più sapere».