
Gran premio di Larciano, circuito di 120 chilometri a ingaggio, ingresso a pagamento, trenta corridori alla partenza. E’ il 21 settembre 1970. Tre amici – Piero Pieratti, Eligio Bove e Alessandro Tommasi - decidono di andarci: pullman, e via. Arrivano per tempo, anzi, hanno tutto il tempo di godersi l’attesa girando per le strade di Larciano in cerca dei corridori. Ma è un’impresa disperata: i corridori sono tutti in bici a scaldarsi. Tutti tranne uno.
E’ lì vicino alla partenza, seduto a un tavolino del Bar Centrale. Non è da solo: di fronte a lui una ragazza, bellissima, con la fascia da miss. Sta mangiando, oltre a lei con gli occhi, anche un gelato. Se lo sta proprio gustando. Se lo sta proprio godendo. Sarà un amatore, si dicono i tre amici. Per controllare, si avvicinano e scoprono che non è un amatore, ma un vero corridore. Lo riconoscono: Romeo Venturelli. Si guardano: non poteva che essere lui. Un campione, se solo volesse, ma è che non vuole, lui vuole riscaldarsi ma con un gelato, vuole concentrarsi ma con una miss, vuole correre ma dei rischi.
Meo è resuscitato l’altra sera, a Pozzuolo del Friuli, quando alla presentazione di “Cento Coppi” di Giacinto Bevilacqua e Renato Bulfon (Alba edizioni) Piero Pieratti mi ha regalato questo suo antico ricordo. Un ricordo dolce come il gelato, bello come la miss, matto come Meo. Uno che ha battuto Anquetil a cronometro, Van Looy in volata, Gaul in salita, uno che era stato scelto da Coppi e Bartali (più da Coppi che da Bartali) per guidare la squadra che li avrebbe uniti (la San Pellegrino), uno che se solo avesse voluto, avrebbe potuto, ma la verità è che aveva altre priorità e altre precedenze, soprattutto altre urgenze. Ed è così che è entrato nella storia.
La morale non sta in Meo, ma in questo infinito romanzo popolare che è il ciclismo, in questa enorme comunità che è il popolo del ciclismo, anche in questo generoso, magico, fortunato lavoro (lavoro?, mestiere?, professione?, missione?, passione?, veramente non saprei più) di giornalista, un po’ contastorie e un po’ cantastorie, un po’ anche rubastorie, che regala il potere e la possibilità di ricordare e collegare, di trasmettere e resuscitare, di pedalare anche così.
(Per la cronaca: quel Gran premio di Larciano fu conquistato da Franco Bitossi; di Romeo Venturelli nessuna traccia)
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