Nello sport esistono professionisti e professionisti. Quelli di serie Gold e quelli di serie Silver. È pleonastico che vi stia a ricordare a quale metallo prezioso appartenga il nostro movimento.
Lo so, ora molti potrebbero silenziarmi con un secco: eccolo lì, il solito lamentio da ciclista immunodepresso. Sempre a guardare all’orticello degli altri. Ma quando l’orticello è un parco riservato al mondo del professionismo, le regole almeno in materia di doping dovrebbero essere uguali per tutti.
È probabile che molti amici di tuttobiciweb abbiano già preso contezza della vicenda legata al capitano del Real Madrid Sergio Ramos. A due anni di distanza veniamo a sapere che il capitano dei blancos era risultato positivo nella finale di Cardiff.
Secondo i documenti ottenuti dal quotidiano tedesco Der Spigel e analizzate da L'Espresso, è successo qualcosa di molto strano il 3 giugno dell'anno scorso, quando la Juventus perse la finale di Champions con il Real Madrid. Secondo i dati, Sergio Ramos sarebbe risultato positivo ai controlli antidoping subito dopo la finale europea.
Il caso è stato immediatamente insabbiato. La Uefa, come spiega L'Espresso, «ha ritenuto credibile la giustificazione fornita dal medico sociale della squadra iberica. Un semplice errore materiale, questa la versione difensiva. A causa di una banale svista, agli uffici dell'antidoping era stato segnalato un farmaco diverso da quello effettivamente somministrato, il Desametasone». Questo farmaco infatti può essere usato per necessità terapeutiche dagli atleti prima delle gare, a patto che venga comunicato tempestivamente. Il problema, è che nelle carte consegnate prima della finale di Champions persa dalla Juventus, compariva il nome di un altro farmaco utilizzato da Ramos, che era il Celestone Chronodose, simile al Desametasone, ma non lo stesso. E quindi proibito.
La domanda che sorge spontanea e scontata quanto prevedibile: e se fosse successo nel ciclismo? Nel ciclismo avrebbero aperto giornali, telegiornali e siti. Nel ciclismo se succede si paga, come nel caso riguardante Simon Yates. Il britannico all’epoca corridore della Orica GreenEDGE, era risultato positivo ad un controllo in occasione della Parigi-Nizza, e si è visto comminare dall’UCI una squalifica di quattro mesi. Una pena mite perché l’UCI ha ritenuto valida la difesa del team, che indicava nella mancata richiesta del TUE per l’uso dell’inalatore contro l’asma, patologia di cui Yates soffre. Insomma, una negligenza da parte del responsabile sanitario del team è stata in ogni caso sanzionata. Nel calcio, s’insabbia allegramente, nel ciclismo no. Nel calcio il doping non esiste e io sono Babbo Natale.