Capolinea 2018: di una stagione così si può dir tutto, fuorchè non sia stata equa nel distribuire le sue gioie. Fra grandi Giri e classiche, vincitori tutti diversi: di comune, soltanto una bandiera, quella del Regno Unito, sventolata in cima alle corse a tappe. Ecco le dieci facce che resteranno impresse dopo un anno così.
Julian Alaphilippe. Vince Freccia e San Sebastian, vince due tappe e la maglia degli scalatori al Tour, promette di vincere molto altro ma si ferma a un passo o anche più indietro. A 26 anni è considerato l’astro nascente delle grande classiche: per confermarlo, non gli resta che vincerle.
Tom Dumoulin. Non vince nulla, se non il simbolico titolo di Grande Battuto: secondo al Giro, secondo al Tour, è quello che più di tutti va vicino alla storica doppietta. Secondo nel mondiale a crono, quarto su strada, ribadisce un’impressione: l’anno che gli gira giusto, si prende tutto.
Chris Froome. Vince il Giro, vince la causa per la vicenda Salbutamolo, non vince un Tour dove, oltre ai rivali, deve affrontare la maleducazione del pubblico. Alla fine, a rendergli di più, è la gara che non vince: la dignità con cui affronta la gogna francese gli vale l’affetto della gente.
Vincenzo Nibali. Vince la Sanremo contro pronostico, non vince il Tour perché un colossale idiota lo butta in terra sull’Alpe d’Huez fracassandogli una vertebra e per questo non vince nemmeno Mondiale e Lombardia. Con un’altra salute, altro Nibali: e, ovviamente, altri risultati.
Thibaut Pinot. Vince due tappe alla Vuelta, vince la Milano-Torino e il Lombardia, vince tutto questo dopo aver chiuso il Giro d’Italia all’ospedale, disidratato e senza forze nell’ultimo tappone. Con Nibali si divide il premio ritorno dell’anno, aver iniziato la rimonta in anticipo gli riempie la bacheca.
Peter Sagan. Vince la Parigi-Roubaix da padrone, vince tre tappe e la sesta maglia verde al Tour, vince anche quando anticipa i pettegolezzi annunciando la separazione dalla moglie. Anche lui paga la tassa sulla salute con una rovinosa caduta al Tour: se chiude in calando, è giustificato.
Geraint Thomas. Vince il Delfinato, vince il Tour prendendosi due tappe alpine, vince soprattutto la paura di esser un ciclista nel mirino della sfortuna. Davanti all’occasione di conquistare la corsa che vale una carriera, non sbaglia: ai poster (del prossimo Giro) dire se è stato solo un episodio.
Alejandro Valverde. Vince il Mondiale a 38 anni, vince due tappe alla Vuelta, vince molte corsette senza riuscire a fare centro in una classica vera. Con la sua tattica al risparmio, senza buttare via una pedalata, ha dato lezione ad Innsbruck: di questo passo, ai Giochi 2020 ci arriva comodo.
Elia Viviani. Vince diciotto volate, vince quattro tappe al Giro e tre alla Vuelta, vince contro la diffidenza di chi pensava che non fosse un velocista di prima fascia. A suon di successi, abbina maturità a qualità: a forza di lasciarsi alle spalle tutti i grandi, quello da considerare grande è lui.
Simon Yates. Vince la Vuelta usando forza e testa, non vince il Giro perché la sola forza non gli basta, non vince il Mondiale perché delega, invano, il gemello Adam. Tre mesi dopo essersi illuso in Italia, diventa perfetto in Spagna: studiava da vincitore di grandi giri, ha imparato in fretta.
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