Parigi val bene 3351 km (più un’altra tappa solo per i km tra la partenza ufficiosa e quella ufficiale), quasi 86 ore e mezzo in gara (a 3’09’34” da Geraint Thomas), il 95° posto finale (sui 145 arrivati dei 176 partiti), il 9° di giornata (più un 6°, due 8° e altri due 9°, totale il 7° posto nella classifica a punti) e un giallo che non riguarda la maglia gialla (l’auto di scorta alla crono che ha sbagliato il percorso e lo ha costretto a partire con 6’ di ritardo). Parigi val bene una festa. Così festa fu il 29 luglio a Parigi e festa sarà domani 13 ottobre a Enego (Vicenza): ritrovo alle 15.30 davanti al Palazzo della Cultura, parole e immagini della stagione 2018, quindi pedalata “goliardica” per le vie del centro, infine rinfresco. Attesi almeno 500 tifosi, seguaci, discepoli, appassionati, innamorati di Andrea Pasqualon.
Trent’anni, otto da professionista, 11 vittorie, Pasqualon incornicia il 2018: “Prima corsa, il Trofeo Laigueglia. Ultima, la Parigi-Tours. Quattro vittorie: il Gran Prix de Plumelec, due tappe (più due terzi posti) al Giro del Lussembrugo e la classifica generale (più quella a punti). La festa al Tour de France e tanti piazzamenti, che significa essere riuscito a giocarmela fino all’ultimo”. Da passista veloce a velocista: “Finché sei dilettante, non sai ancora esattamente chi sei e dove vai. Nelle volate mi aiuta la dote di prendere bene la ruota giusta. Una questione di sensazioni e situazioni, di astuzia e coraggio, non ho paura a gettarmi nella mischia”. Quindi, un’enciclopedia di emozioni: alla partenza (“Mi faccio sempre il segno della croce, perché penso a chi ci protegge veramente”), quando dopo un’ora a 50 km/h nasce la fuga di giornata (“Finalmente, mi dico, adesso posso mangiare e bere”), ai -5 (“Sento l’adrenalina che sale in gola, una sensazione bellissima, perché non c’è corsa in cui non immagini di vincerla a braccia al cielo”), all’ultimo chilometro (“Un vortice di gambe, intuizioni, istinto”), agli ultimi 50 metri (“In apnea, a tutta, fin dopo la linea dell’arrivo, sempre meglio 3° che 4°, sempre meglio 9° che 10°, dopo 200 km di fatica non si ha il diritto di buttare via nulla”).
Riposa fino alla fine di ottobre, Pasqualon, poi ricomincia: “Staccare è importante, perché serve a ritrovare la voglia di riattaccare. Ancora con più grinta, lucidità, determinazione. Fino a dirsi ‘non vedo l’ora’. Allenarsi è bello: dà ordine, disciplina, tranquillità, consapevolezza. Ma gareggiare è molto più bello, almeno per chi, come me, ha la competizione nel sangue. Tant’è vero che uno dei momenti più eccitanti è attaccarsi il dorsale. Ma gareggiare non è come guerreggiare. Il ciclismo è gioia, passione, amore, vita”. Il 2019: “Non partire subito forte. Vorrei arrivare al massimo per le classiche del Nord e poi ripetere il Tour, ma non più con l’ingenuità dell’esordiente. E con la squadra guadagnare un invito per certe corse italiane, come la Tirreno-Adriatico e la Milano-Sanremo”. Già, la squadra: “In Belgio, se la Quick Step e la Lotto sono la Juventus e il Napoli, la Wanty-Groupe Gobert è la Fiorentina… Da Professional, sarebbe di serie B, ma per come è strutturata, vale la A”.
Pasqualon è la fuga delle gambe (non ci sono solo i cervelli) all’estero, è la felicità del pedalare, è il bello del ciclismo: “Al ciclismo devo tutto. Educazione e conoscenze, amici e avversari, sogni e traguardi. Se solo il fisico me lo permettesse, vorrei correre almeno fino a 37-38 anni”. “Il Falco di Enego” vola alto.