Nella storia del giornalismo sportivo si fanno da sempre la guerra due linee di pensiero. Una, che nell’ambiente accreditiamo a Gino Palumbo, storico direttore della “Gazzetta”, non ammette esitazioni: lo sport è un’isola felice, lo sport dà gioia alla gente, lo sport va raccontato bello sempre e comunque, così come i suoi avvenimenti e i suoi personaggi. E guai, guai, guai seminare brutte notizie, dubbi, depressioni.
Dall’altra parte, agli antipodi, la seconda linea di pensiero: lo sport non è un’isola felice, non è oppio dei popoli, è tale e quale la vita di tutti i giorni. Dunque, inutile montare il circo a tutti i costi, sempre e comunque, gonfiando gli aspetti positivi e nascondendo bellamente quelli negativi. Conta una cosa soltanto: la verità. Quella che ci è possibile scoprire, quella che ci sembra la più attendibile. Possibilmente quella vera.
Di fronte al Mondiale di Innsbruck, la gente penserà che il Gatti si sia bevuto il cervello. O comunque che abbia bevuto qualcosa con tanti gradi. Siamo in piena tensione agonistica e lui ci propone una minidispensa di giornalismo.
Chiedo un po’ di clemenza, non sono proprio così alticcio. Il discorso mi serve proprio necessariamente guardando il Mondiale. Anche stavolta, le due filosofie accompagnano l’avvenimento, dentro e fuori l’ambiente. Parlando dell’Italia, cosa si deve dire prima del via: che comunque restiamo l’Italia, che comunque Nibali è Nibali, che comunque abbiamo questo nuovo Moscon, che cioè abbiano grandi carte da giocare e che possiamo vincere? La presentiamo cioè alla Palumbo e carichiamo di aspettative la nostra spedizione, così da seminare entusiasmo e da cancellare mestizie, perché comunque la gente deve essere pilotata verso la gioia e l’ottimismo?
Se è così, prego. Si faccia avanti qualcun altro. Io non posso nascondermi dietro a travestimenti, non riesco a camuffarmi: io resto faticosamente e sanguinosamente aggrappato all’idea che non si possano raccontare barzellette. Che in ogni caso, bella o brutta che sia, vada cercata la verità. E allora non ho molte vie d’uscita. Neanche tante macerazioni da sopportare. Dico semplicemente che il Cielo ce la mandi buona.
Partiamo con una Nazionale molto simpatica, questo sì: i ragazzi al via mi sono tutti simpatici, in un modo o nell’altro. Meritano affetto e sostegno. Ma questo non mi impedisce di vedere che tutto sono fuorchè favoriti. Perché, possiamo forse imporre a Nibali d’essere favorito? Lo sarebbe sicuro, sarei il primo a caricargli addosso questo peso, se un emerito mentecatto non l’avesse abbattuto e mutilato sull’Alpe d’Huez. Ma siccome quel mentecatto è storia, a questo punto dico: è già molto che Nibali sia qui, che Nibali ci provi, che Nibali dia tutto, ma fermiamoci a questo. Nella logica, non ha la salute fisica per vincere una corsa tanto dura e tanto combattuta. Io, umanamente, non glielo posso chiedere. Posso chiedere invece a Moscon, questo magnifico Moscon che promette cose grandissime, di battersi come un leone, di correre un bel Mondiale. Ma anche con lui, mi fermo qui: pensare che vinca è veramente troppo, al di là delle mie dosi omeopatiche di speranza e di ottimismo.
Che altro? So per certo, sarei pronto a scommettere, che De Marchi farà il suo solito diavolo a quattro, perché ha un fisico e un cuore per imprese commoventi, quindi già me lo vedo partire da lontano e tenere gli avversari sulla corda, perché sanno benissimo che questo tipo qui, se lo sottovaluti, è capacissimo di insistere fino al traguardo.
Il resto è nelle mani del destino. Cassani fa bene a dire che non si parte mai per perdere. Fa benissimo. Ma farebbe bene anche a dire realisticamente che l’Italia non è in corsa per il titolo, perché non ne ha i requisiti necessari.
Se lascia troppo spazio al palumbismo, è come firmare una cambiale a scadenza certa: se alla fine l’Italia perde, com’è logico, come non è scandaloso, comunque il palumbismo gli torna in testa tipo boomerang. L’Italia che perde a Innsbruck, per me, è perfettamente nella norma. Per il palumbismo diventa invece un bellissimo spunto per avviare subito il processo ai colpevoli. Immancabilmente, il ct.