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«Dal doping al razzismo: siamo il Paese al mondo che più ne parla, con il record assoluto di tavole rotonde. Ma quando si tratta di tradurre la teoria in pratica, e le proposte in leggi, non uno che faccia un passo avanti. Al massimo ci si dissocia, si stigmatizza, ci si appella alla coscienza (degli altri, ovviamente)».
Dopo aver aperto una finestra sull’uso dei farmaci proibiti o in eccesso nel calcio, Lamberto Gherpelli tocca un altro aspetto delicato quanto poco affrontato nello sport più popolare del mondo: “Che razza di calcio” (edizioni Gruppo Abele, 240 pagg, 15 euro) è un viaggio all¹interno di un altro lato oscuro del pallone, dove razzismo, intolleranza e discriminazione sono piante che ancora non si è riusciti ad estirpare. Vuoi perché ben radicate, vuoi perché l’ambiente in cui sono cresciute non sembra esprimere il massimo impegno per combatterle.
Come già il coraggioso “Qualcuno corre troppo¹”, dedicato al rapporto fra calcio e doping, anche questo nuovo lavoro di Gherpelli non trascura alcun aspetto, da quello storico alla stretta attualità: si va dalle difficoltà dei giocatori di colore ad essere accettati nelle squadre nella prima metà del secolo scorso agli episodi più recenti di contestazione verso chi ha una pelle diversa, dall’antisemitismo organizzato delle curve fino ai casi di discriminazione nei confronti degli atleti omosessuali o delle stesse donne. Con le testimonianze dei campioni che ne hanno subito le conseguenze, da Thuram fino al grande Cruijff. Vicende salite alla ribalta della cronaca o anche inedite, ricostruite nei dettagli, piccoli o grandi episodi tutti legati dal filo di un atteggiamento grave, non solo per il calcio. Storie di vita, non solo di pallone: messe tutte in fila offrono un quadro sconfortante di uno sport che, come tutte le medaglie, ha anche il suo rovescio.