di Cristiano Gatti -
Chiuso a tenaglia da Dumoulin e Froome, prima uno e poi l’altro in associazione e concorso, anche il piccolo Cassius Clay di questo Giro cade con i glutei al tappeto. Non è un Ko, ci vuole altro. Ma è quanto basta per riaccendere eccitazione ed emozioni su una corsa che sembrava già avviata agli almanacchi, dominata senza soluzione di continuità dal gemello invincibile.
Ancora una volta, la lezione arriva puntuale: di invincibili, a questo mondo, ce ne sono davvero pochi. Vale invece la regola antica, riproposta in mondovisione dal pensatore Gianni Savio: invincibile non è chi vince sempre, ma chi non si arrende mai.
Ed è proprio su questo chiodo che vorrei battere, su chi non si arrende mai. In un altro film, i Dumoulin e i Froome avrebbero già chiuso gli ombrelloni e si sarebbero incamminati verso Roma limitando al massimo danni e fatiche. Tanto, come pensa qualcuno, questo è il Giro e non il Tour, chi glielo fa fare di sderenarsi sulle ultime salite. Chi glielo fa fare: glielo fa fare il loro istinto e la loro statura di veri campioni. Quando fiuta sangue, il leone parte all’attacco: non perché sia particolarmente cattivo, ma perché così gli impone la natura.
Questi due signori magari saranno battuti ugualmente da Yates, ma di sicuro non lo porteranno a Roma su una spider. Gliela faranno penare. Fino all’ultimo. A partire da oggi e poi dal tappone di Bardonecchia, il padre di tutti i tapponi. Se quella di Yates a Prato Nevoso è solo la solita giornata storta che in un Giro capita a tutti, com’è capitata a Froome e a Dumoulin, o se invece è l’inizio di un inarrestabile declino, lo capiremo subito, già quando il Colle delle Finestre suonerà la sveglia. Questo è il nuovo tema, da qui a Roma: capire se Yates al tappeto è solo temporaneo, con immediata ripartenza, oppure è l’inizio di una bambola irrisolvibile, con tanto di conteggio fatale.
In ogni caso, grazie a Dumoulin e Froome (nel suo scatto, rivisto come Frool), questo Giro si avvia a diventare fantastico. E’ un Giro diverso da quelli dominati dal campione troppo superiore, alla Indurain o alla Pantani, senza entrare nel merito. E’ il Giro in bilico fino all’ultimo chilometro, o quasi, che ricalca quelli degli ultimi due anni, con Nibali che ribalta la corsa proprio sulle ultime salite piemontesi (2016), e con Dumoulin che intasca la vittoria nell’ultima crono (2017).
In questo caso, mi verrebbe già da dire che a parità di cronometro – rispetto agli ultimi anni – Dumoulin adesso sarebbe davanti a tutti, perché basta aggiungere 20 chilometri alla metratura di quest’anno per tirare la logica conclusione. Non solo. Sarebbe davanti anche se non ci fossero gli abbuoni, come comprese bene Purito Rodriguez nell’anno di Hesjedal, abolizione che gli costò la vittoria finale. Sono chiacchiere, lo so. Ma sono appassionanti, perché ci fanno parlare e discutere di Giro e di ciclismo. Se Dio vuole. Ognuno può dire la sua, tutti hanno ragione e nessuno ha torto, ma resta il fatto che i se e i ma sono tutti legittimi. Con più crono – io però voto contro, sia chiaro – e senza abbuoni, adesso sarebbe Yates a rincorrere Dumoulin. Ma va bene lo stesso. La cosa veramente fondamentale è che comunque niente sia compiuto, che tutto sia ancora possibile.
L’idea che poi tanta eccitazione si infiammi anche senza la presenza in rosa di un eroe italiano spiega bene quanto sia indovinata questa storia del 2018. Sì, possiamo dirlo: comunque vada a finire, è un Giro bellissimo. Avere poi lì in mezzo al ring il valoroso Pozzovivo, che ogni giorno evita di prendere cazzotti, è una sontuosa consolazione. L’Italia del Giro è piccola come lui, non ha altro. Ma se va sul podio in un Giro simile, sbucando indenne da una tale baraonda, può leccarsi le dita.