di Cristiano Gatti -
E’ molto difficile in questo Giro gridare Bravo Aru, non voglio perdere l’occasione giusta e la colgo subito al volo. Bravo Aru, proprio bravo, per questa decisione di restare. Anche se non riesce più ad andare in fuga, ci ha risparmiato comunque la peggiore.
Di situazioni simili ne ho viste tante, in tutti questi anni di vagabondaggio, e posso garantire che nove corridori su dieci, al suo posto e nelle sue condizioni, sarebbero già a casa tra le braccia consolanti della mogliettina, con il cane sdraiato sul tappeto e soprattutto con il branco dei fedelissimi, ispirato dal procuratore, a dire poverino, là fuori il mondo ti vuole male, guarda quei giornalisti cornuti cosa scrivono di te.
Bravo Fabio perché hai scelto un altro film. Poche parole con la faccia scura, com’è normale in questi giorni infernali, per annunciare la scelta più coraggiosa e più giusta: “Porterò a termine il mio Giro. Troppo facile lasciare tutto adesso”.
Per me, lo dico spassionatamene, è una bella scoperta. Apprendo che tutti i bei discorsi messi in giro in occasione di tanti ritiri, al grido “inutile tenerlo qui solo per farsi del male”, lasciano il tempo che trovano. C’è anche un altro modo di affrontare l’apocalisse. Semplicemente, come dici tu, accettandola.
Tanti ti chiedono se da qui a Roma punterai a vincere una tappa, ma sinceramente mi sembra una pietosa domanda di circostanza. Molto più realistico pensare che andrai avanti bevendo fino all’ultima goccia il calice indigesto dell’arsenico, questo arsenico che chiamiamo umiliazione, ma che in realtà è semplice sconfitta. Nella vita si vince e si perde, solo i fessi sono capaci di vivere soltanto le vittorie. Gli uomini, come direbbe l’opinionista del calcio, affrontano bene entrambe le fasi.
Non è facile, certo che non è facile. Vedere i tuoi rivali andarsene presto per inseguire obiettivi che non sono più tuoi, galleggiare nei sobborghi del Giro tra gregari a fine lavoro e velocisti in ritirata. Per te è sicuramente un mondo sconosciuto, ma non per questo così dannato. Si tratta soltanto di ricomporre un po’ il sinistrato te stesso che hai riportato giù dallo Zoncolan e da Sappada, ma con calma, senza più angosce e fantasmi. Piano piano, chilometro dopo chilometro, potrai concentrarti sul nuovo obiettivo personale, per niente secondario, anzi più importante di una qualunque vittoria: ritrovare da qualche parte la voglia e il piacere della bicicletta.
Proprio così: quell’arnese che ti ha portato sin qui, partendo dall’infanzia, adesso è uno strumento di rabbia e di tortura. Sei arrivato a odiarlo. A non capirlo, a non sopportarlo più. E tutto è crollato. Restando qui, solo restando qui, in attesa di capire le ragioni precise del tracollo, puoi cominciare almeno a ricucire il rapporto, facendo pace, riscoprendo il fascino dell’attrezzo che hai sempre amato. Si racconta che una volta Michelangelo avesse lanciato il martello contro la sua statua, urlando “Perché non parli?”. Immagino quante volte, in questi ultimi giorni, tu abbia provato la tentazione di lanciare il martello contro il telaio, urlando “Perché non vai?”. Rabbia e frustrazione sono umane e comprensibili. Buttarle fuori aiuta. Adesso però è il momento di voltare pagina e ricominciare a mente sgombra.
Riguardala, questa bicicletta, torna a vederla con gli occhi dell’intesa e della complicità. Del piacere segreto. E’ il modo migliore per ripartire. Certo la cronometro non sarà il posto ideale da cui ricominciare. Già non sei un fulmine, figuriamoci in queste condizioni. Ma mettilo in conto. Prova a correrla serenamente, prendendo quel che arriva. Io, con l’applauso sincero per la decisione di restare, provo a dirti che comunque anche nella Trento-Rovereto un lato positivo c’è: stavolta, almeno, nessuno ti stacca. Se riesci a sorridere, stai già cominciando a guarire.