GATTI&MISFATTI | 10/05/2018 | 18:49 di Cristiano Gatti -
Di solito chi va troppo forte all’inizio va troppo piano alla fine. E di solito chi va piano all’inizio poi va fortissimo alla fine, perché strada facendo trova la forma. Di solito. Poi ci sono le eccezioni. Ricordo sempre un certo Gianni Bugno, campione del mio cuore, che andò fortissimo nella prima cronometro di Bari e andò ancora più forte l’ultimo giorno, senza mollare mai la maglia rosa, anno indimenticabile 1990 (le sue, non quelle del calcio, furono davvero notti magiche).
Questo per dire che regole fisse e rigidi automatismi non ne esistono, in assoluto. Però non possiamo lasciarci zittire così dal relativismo, perché allora vale sempre tutto. In realtà, tendenzialmente, può davvero essere che certi campioni abbiano bisogno del lungo logoramento di tre settimane per emergere dalla media scattante dei primi giorni. Declinando in nomi: questi Aru e questi Froome, effettivamente, mettono un po’ paura. Se l’Etna fosse nella terza settimana, li inviterei caldamente a lasciar perdere: troppo affanno, troppa fatica, troppa disperazione nella loro pedalata. E solo per difendersi. Solo per salvare le ossa. Conviene pensare che abbiano soltanto bisogno di tempo, sempre che non ne perdano troppo per mettersi a bolla…
Al loro confronto, Yates Due, il gemello che sembrava nato con qualche costola in meno, emerge come un gigante. Soltanto il tappo di Chaves là davanti, compagno valoroso in fuga dal mattino, tiene in bottiglia l’esplosione così a lungo. Quando finalmente può sturare, è un botto di Capodanno. L’idea che quella pedalata facile e mostruosa trasmette è di una superiorità sconcertante. E’ un’idea che sa pure di rammarico: senza il problema del compagno là davanti, comunque da proteggere, quanto più forte sarebbe adesso la sua maglia rosa? Quanto più corposo il suo vantaggio?
Come dice l’amabilissimo Chaves, più che mai bentornato, non si fanno tanti mugugni: “Oggi è il giorno perfetto. E il giorno perfetto non capita tutti i giorni”. Perfetto anche il ragionamento. La squadra di Vittorio Algeri sbanca l’Etna, si porta via l’intero bottino, tappa e maglia rosa: cosa chiedere di più alla vita.
Io, al posto loro, chiederei che i favoriti continuino ad andare così piano. Se si escludono le schermaglie da Trofeo dello Scalatore per esordienti, la bella gente del Giro giusto continua a tenersi e a trattenersi. A marcarsi senza smarcarsi. Tra tutti, a me quello che convince di più è ancora e sempre Doumoulin. Non si fa turbare se i Pozzovivo e i Lopez danno in escandescenze, sceglie la sua andatura, porta a casa il risultato. Questa sua prima parte di Giro sembra la naturale prosecuzione dell’ultimo, quello che ha vinto. Non cambia lo schema, non cambia lo stile, non cambia l’efficacia. E guardando la classifica si comincia già a intravedere un primo embrione di fuga sui rivali, come un piccolo che nascerà quando lo inquadra l’occhio dell’ecografia. Senza dimenticare mai che per quanto poca sia, c’è sempre la crono depositata sul suo conto in banca.
Conclusioni? Ma quando mai. Solo prime impressioni. Mai farsi prendere la mano nelle prime tappe. Ho pagato con scottature solenni la tentazione di buttarmi subito in conclusioni universali. Vedendo questo Yates, la tentazione sarebbe già dire che li ammazzerà tutti con una gamba sola. Ma non ci casco. Per smentire l’antica regola – chi va troppo forte all’inizio va troppo piano alla fine – ci vuole altro. Prima vediamo il cammello, poi eventualmente molliamo il tappeto.
Lasciamolo lavorare, questo Yates. C’è tutto il tempo per capire se ha davvero la statura del ribelle, che manda a ramengo tutte le certezze e i luoghi comuni. Ma non è un gioco da niente. Bisogna essere dei Bugno, per poterselo permettere.
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