
«Sono passato nella massima categoria con la Bardiani CSF nel 2013, team con il quale sono cresciuto e ho disputato tante belle corse, in primis il Giro d'Italia. Nella seconda parte del 2015 non sono andato come speravo e nell'inverno successivo ho commesso alcuni errori di preparazione. La stagione 2016 non è andata bene e l'inverno tra il 2016 e il 2017 per me è stato molto duro (ha sofferto a causa di depressione e disturbi alimentari, ndr), fatto di tante illusioni e false speranze. Sinceramente non pensavo di trovarmi senza contratto, solo a febbraio ho trovato spazio alla Sangemini MG.Kvis Olmo Vega, squadra minore che a stagione già iniziata non poteva permettersi di pagarmi uno stipendio. Quest'anno non ho preso un euro, è stata una mia scelta, la voglia di correre e rilanciarmi era così alta che ho deciso di investire su me stesso. Ci credevo come credo in questo sport, buoni risultati sono arrivati (ha vinto tappa e classifica finale del Giro di Albania, ndr), ma non sono bastati per attirare l'interesse di squadre maggiori» racconta Manuel, che nel corso di questa stagione ha segnato un primato nella storia del ciclismo, anzi sport in generale.
«Ho fatto richiesta all'UCI di poter avere il passaporto biologico, a luglio mi hanno risposto che non potevano soddisfare la mia richiesta perchè le formazioni continental sono regolate dalle federazioni nazionali e non a livello internazionale, per la burocrazia non sono riuscito a farlo. Dalla Cycling Anti-Doping Foundation (CAFD) mi hanno detto che ero il primo corridore a chiederlo, mi hanno elogiato, così come quando ho deciso di pubblicare i miei valori sui social. L'ho fatto per essere trasparente, per dimostrare la mia serietà e che le mie prestazioni sono frutto solo di tanto lavoro. Ho fatto tutto il possibile per continuare, se sono arrivato a questa decisione è perchè ho già sopportato troppe delusioni. L'unico rimpianto che mi resta è di non aver avuto al mio fianco figure professionali in grado di darmi consigli e un aiuto a muovermi in questo mondo, valorizzando la mia figura. Chi mi circondava mi ha deluso. A settembre ho contattato Johnny Carera che devo ringraziare tanto perchè si è dimostrato determinato e motivato a ricoprire il ruolo di procuratore che mi mancava. Mi ha fatto sentire tutelato, mi ha fatto capire che sono stato preso in giro per tanto tempo, è un grande professionsita. Oltre ai miei cari, un'altra persone che mi è stata molto vicino quest'anno è stato Paolo Alberati, mi ha seguito come allenatore e non solo, ogni mattina mi chiamava per spronarmi e darmi morale».
Un contatto con un grande team sembrava poter cambiare le sorti della carriera di Bongio, ma per scelte tecniche alla fine la possibilità di un ingaggio interessante non è andata in porto. «Dentro ora ho solo tanto dispiacere. Mi sento di poter correre altri 15 anni, ma devo fare i conti con la realtà. Non ci sono più i presupposti per andare avanti, devo prendermi le mie responsabilità. Non corro per i soldi, ma non posso spendere i miei risparmi per gareggiare. Devo pensare alla mia vita privata e al mio futuro. Nelle ultime stagioni ho messo da parte la mia dignità, ripartire senza una gratificazione economica non è facile e nemmeno giusto. Smettere è una decisione dura, è come se stessi vivendo un lutto. Chi mi conosce sa cosa rappresenta la bici per me. Non è solo un lavoro, ma una religione da professare con dedizione e amore. Il ciclismo è il mondo più bello che c'è, ma non sento più la fiamma. Mi fa strano immaginarmi in un altro ambito, pensare a una vita senza bicicletta mi sembra assurdo».
Giulia De Maio