Rapporti & Relazioni

VISTO DAL VIVO, VISTO IN TIVU'

di Gian Paolo Ormezzano

C’ è una cosa apparentemente fra le più giuste eppure decisamente fra le più stupide che si dicono quando, in Italia, almeno, si parla di sport. La cosa riguarda i due sport più popolari senza intervento di mo­tori, cioè calcio e ciclismo su strada, considerando il tennis una strana vicenda a sé, con i suoi su e giù nell’attenzione po­polare, con esplosioni periodiche di interesse, senza nessuna regola temporale: e per esempio adesso è al massimo “su” della sua storia nostrana, con un cer­to Sinner (un Thoeni o un Tom­ba nello sci alpino sono limitati stagionalmente e geograficamente). La cosa - troppo chiamarla idea, ideologia, ragionamento, scuola di pensiero… - si riferisce al rapporto fra vicenda sportiva e spettatore. E cioè ec­co il punto: si dice che il ciclismo offre spettacoli gratuiti, di durata breve e spesso brevissima, però non chiede denaro per la partecipazione, mentre il calcio chiede soldi - su tutti quelli dei biglietti - e però offre spettacolo lungo e tutto da vedere.

La cosa è stupida anche perché farcita di inesattezze. Nel ciclismo si vede poco, vero, giusto il momento del passaggio dei corridori, se insomma si sta alla fornitura di­retta di immagini agonistiche, ma si vede molto se si coltiva, oltre che la visione e l’immaginazione del panorama, specie se non strettamente urbano, il mi­stero dell’attesa (definizione di Bruno Raschi, mio maestro non solo di giornalismo, visto che lo ebbi come supplente di religione nel mio solo anno di scuola privata). Il tifoso di ciclismo aspetta i corridori e intanto si ripassa dentro tutto quello che del ciclismo sa (operazione impossibile al tifoso di calcio, che al massimo si ripassa cosucce settarie, della sua squadra beneamata), si gusta ansiosetto il passaggio delle prime auto di un seguito chiamato impropriamente seguito visto che precede, vede o crede di vedere il suo corridore idolo impegnato nel gruppo (a meno di felice fuga solitaria), discute prima e dopo con la gente della sua tribù. Non paga il biglietto a meno che si tratti di un circuito, dove la dinamica del rapporto fra show e pubblico è tutta particolare. Paga però eccome in fatica fisica personale, specialmente se trattasi di corsa disputata sulle montagne, paga in tempo libero suo offerto per trasferte in genere lunghette o, in caso di passaggio della corsa sotto casa, in stravolgimento degli abituali orari, riti e ritmi di lavoro, paga in discussioni intrise di previsione, commenti su quel che si è visto, si vede, si vedrà dal vivo. Alla fine di una sua giornata di gara ciclistica disputata su montagne di solito mai vicine, ha speso in vari modi assai più del tifoso di calcio che se l’è cavata con l’acquisto di un biglietto, magari in abbonamento scontato, e che per lo spostamento sul posto dell’evento ha potuto addirittura usare un economicissimo tram.
Sin qui non ho scoperto nessuna America, anzi. Il fatto è che però, ultimamente, i padroni della nostra vita specie televisiva non mi lasciano più fruire della visione del calcio nel modo semplice e collaudato di prima, intanto che il mio ciclismo sta pensando a nuovi proficui travestimenti, per esempio con le gare in mountain bike e quelle di ciclocross, dove lo spettatore vede molto dell’evento. Io ri­spetto le fatiche dei crossisti e i brividi degli acrobati delle mountain bikes, ma per me quello non è ciclismo, e comunque esistono occasioni di spettacolo biciclettoso persin migliore (si pensi anche alle prove su pi­sta, che non sono ciclismo, perché il pignone fisso non è ciclismo, ma hanno una loro buona ragione di vita pubblica, e han­no persino i loro appassionati e i loro eventi speciali appassionanti, tipo il record dell’ora). La scoperta, che comunque spartisco con tantissimi, anche nel mio residuo mondo giornalistico, è che davanti al televisore (ormai l’imprescindibile modo di vivere voyeuristicamente lo sport) e persino allo stadio non vedo più il calcio comunque a me caro, ma qualcosa di nuovo e di gaglioffamente diverso da quello a cui mi hanno cresciuto. Vedo quello che vogliono farmi vedere, lasciarmi vedere, obbligarmi a vedere, e fra poco la strumentazione dentro gli stadi mi offrirà e imporrà con schermi enormi, coinvolgenti e av­volgenti i dettagli anche morbosi di quello che, stando lì sui cosiddetti spalti, ho visto o creduto di avere visto, intravisto con i miei occhi. Già adesso le soste penosette per il culto e l’adorazione del Var mi fanno pensare che ho visto poco e male, che forse non ho capito niente di quel che è realmente accaduto. Ma la strumentalizzazione per l’uso e l’abuso della gente allo stadio avrà presto diramazioni nuove, il cosiddetto tifoso sarà sempre più attore, e la giocata calcistica vera e propria, già povera di suo, e monotona, avrà il peso minore di una visione rapida del passaggio dei corridori ciclisti. Non so come accadrà, so che accadrà. E presto. D’altronde già adesso capita che chi sta allo stadio telefoni a chi sta vedendo lo stesso match, però in tv a casa, e chieda delucidazioni su questa o quella fase di gioco che a lui, lì dal vivo, è passata davanti agli occhi come il passaggio di un gruppo di pedalatori. Mai pensato a questa deformazione pazzesca e in atto del rapporto con lo spettacolo sportivo?
Con tante scuse se ho disturbato…

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