di Nicolò Vallone
C’è un prima e un dopo nel Giro d’Italia di Giulio Pellizzari. Uno spartiacque rappresentato dalla sera del 15 maggio: metà del mese, metà del Giro. Il più giovane dei 176 partecipanti alla corsa rosa arriva in Abruzzo sfinito dai virus che serpeggiano in gruppo, che non gli hanno permesso di combinare alcunché fin lì. Telefona al suo grande mentore Massimiliano Gentili, quindici anni da professionista dal 1996 al 2020, uno dei “plasmatori” dell’attuale movimento umbro e del Centro Italia, colui che ha preso Giulio sotto la propria ala da Esordiente e l’ha traghettato fino ai professionisti, in quell’inesauribile bacino che è l’attuale VF Group Bardiani Csf Faizanè. E Gentili è categorico: “ragazzo, non mollare che domani hai la tappa nelle tue Marche e da qui in avanti puoi solo andare a risalire, il tuo Giro comincia adesso!”
Così è. Con l’ulteriore supporto del preparatore Leonardo Piepoli e naturalmente dello staff del team coordinato da Roberto Reverberi e Luca Amoriello, il ventenne Pellizzari ritrova se stesso, quella pedalata vivace e leggera seppur ancora acerba (il che è solo un bene, significa che ha ampi margini di miglioramento) e anche lo spirito giusto per attaccare come sa. E come può, dato che in squadra ha un leader come Pozzovivo e quindi non è vincolato al curare la generale.
Quella seconda settimana, iniziata come un incubo, termina con un sussulto che fa da prodromo a un’ultima settimana da incorniciare: Pellizzari è tra gli oltre quaranta contrattaccanti del tappone di Livigno e transita secondo sul Mortirolo dietro a Scaroni. È il segnale di conferma che cercava: dal giorno di riposo esce finalmente e pienamente lui, nel piovoso martedì “accorciato” in Val Gardena arriva secondo non su un GPM ma direttamente sul traguardo del Monte Pana. Una scena che fa breccia nel cuore di ogni appassionato: cannibal-Pogacar che quasi non vorrebbe ma lo supera a 700 metri dalla linea e poi gli regala i propri occhialoni (per il fratellone Gabriele che, coincidenza, aveva chiesto al fratellino il giorno prima di provare a procurarsi gli occhiali di Tadej, et voilà!, ndr) e la maglia rosa, che Giulio tiene per sé e appenderà nella propria stanza, asciugandola ma non lavandola per non rovinare il numero.
L’indomani, prima di sciropparsi il Brocon, si va subito sulla “nuova Cima Coppi” del passo Sella. Il dorsale 205 di turchese vestito evade al momento giusto e resiste per centimetri al poderoso rientro di Quintana: il colore che indosserà dal giorno dopo diventa l’azzurro che difenderà con le unghie e con i denti fino a Roma in un bel duello col figlio e nipote d’arte tedesco Steinhauser. Certo, è una leadership degli scalatori “al posto di” ma se il dominatore di quella graduatoria è Pogacar non è retorica affermare che Pellizzari è davvero il vincitore tra gli umani.
A quel punto, come i grandi fanno, il ragazzo sente di avere gamba e morale a mille e non ha paura di osare: al microfono dei nostri inviati fa capire a chiare lettere che ha nel mirino l’ultima frazione di montagna, la penultima della corsa, quella di sabato 25 col doppio Monte Grappa. Lui è marchigiano, ma papà Achille proviene da quelle zone venete che trasudano di passione per la bicicletta e per gli eroi del pedale. Passione trasmessa anche al suo Giulio, che sul tragitto verso Bassano si fa portabandiera dell’entusiasmo degli italiani ed esecutore di una tattica perfetta. Dall’ammiraglia, Reverberi manda nella fuga di giornata Tonelli, Pellizzari entra in azione dal plotone a tremila metri dal primo scollinamento e in vetta raggiunge i pochi fuggitivi superstiti, trovando lo straordinario appoggio del compagno sulla successiva discesona. Ai piedi della seconda ascesa è il momento di fare da sé: saluta Tonelli e l’inossidabile Pelayo Sanchez e procede al comando, all’inseguimento di un sogno.
L’illusione che potesse farcela ha accarezzato un po’ tutti, chi più chi meno, ma c’è un piccolo dettaglio a disilludere: la stessa promessa di Giulio l’aveva fatta pure Tadej, e sul secondo Grappa inizia a materializzarsi il sesto trionfo del fenomeno. Non prima però di un altro momento che rimarrà tra le immagini simbolo di questo 107° Giro d’Italia: quando lo sloveno della UAE raggiunge il longilineo corridore della VF Bardiani Csf Faizanè, gli fa un chiaro cenno con la mano e gli dice “andiamo”. La stessa parolina che aveva pronunciato nel video di annuncio ufficiale della partecipazione al Giro, lo scorso autunno, Pogacar la ripete in un momento molto più spontaneo: in piena gara, in pieno sforzo, attestato di gran considerazione nei confronti di questo talento.
Tra il dire (in questo caso, il sentirsi dire) e il fare, c’è di mezzo... il pedalare, e Pellizzari, che pur prosegue di ottimo passo senza rallentare, quella ruota riesce a tenerla per qualche centinaio di metri ma poi deve rassegnarsi a vederla diventare un punto rosa sempre più lontano fino a scomparire tra i tornanti. Poco male, per certi versi: nella puntata 220 di BlaBlaBike che abbiamo poi realizzato all’indomani del gran finale a Roma, Pellizzari ha ribadito che, più ancora dei “baci e abbracci” con Pogacar (con il quale peraltro condivide i procuratori, i fratelli Carera, ndr) l’istantanea più emozionante del suo Giro è stata quella salita solitaria, con il pubblico che ormai aveva imparato a conoscerlo non come un generico corridore italiano, ma come quel corridore, e incitandolo a suon di “Giulio, vai Giulio, dai Giulio!” gli infondeva benzina supplementare per resistere al ritorno degli inseguitori con Tiberi in testa (a proposito di talenti d’Italia...) e scollinare da solo in seconda posizione, prima di essere sì ripreso ma riuscire a stare con i big e sprintare in mezzo a loro a Bassano, piazzandosi sesto.
«Così tanta gente tutta in una volta in gara non l’avevo mai vista: mi hanno spinto davvero tanto, mi è volata» ci racconta testualmente nel podcast quando spiega quegli attimi così speciali. Tanto deciso e grintoso in bici, dotato delle sane stimmate di sfrontatezza che distinguono i campioncini, quanto deliziosamente allegro fuori, dotato di quella candida apertura agli accadimenti della vita che speriamo non perda mai tra un colpo di pedale e l’altro. E la sua vita, popolata di tanti amici e da una famiglia che, oltre ai genitori Francesca e Achille, a fratel Gabriele e sorella Giorgia, comprende pure la fidanzata ciclista Andrea Casagranda, è piena d’amore per quel mezzo fatto di telai e manubri. Che pare scontato ma certi ritiri prematuri dimostrano che non lo è. Quando chiediamo a Giulio come sta dopo le tre settimane del Giro, la risposta è: «Non sono ancora uscito dalla “centrifuga” e sono un po’ stanchino, non sono riuscito a vincere una tappa ma per quello ci sarà tempo. Ora sono così felice... che non vedo già l’ora di tornare in bici!»
Giusto il tempo di festeggiare a casa, in concomitanza con le celebrazioni di fine maggio nella sua Camerino (dedicate al patrono San Venanzio) e via ad allenarsi e pesarsi con leggiadra meticolosità: il programma a breve termine prevede Giro di Slovenia e Campionati italiani. Quello a lunghissimo termine, oltre al probabile passaggio nel World Tour (i rumors parlano di un interessamento della Red Bull Bora ) il duro lavoro per diventare non solo un divoratore di pendenze per glorie giornaliere, ma un uomo di classifica per i grandi giri: «La corsa dei sogni è il Tour, ma tutte le gare importanti che ci sono in calendario mi affascinano».