di Federico Guido
Con la frazione conclusasi sul traguardo di Levico Terme dove ha vinto il maggiore dei fratelli Paret-Peintre, un’altra edizione del Tour of the Alps è andata brillantemente in archivio. Per la prima volta da quando ha assunto l’attuale denominazione, la corsa a tappe organizzata dal Gs Alto Garda ha visto cinque corridori di altrettante nazionalità imporsi nelle varie frazioni in programma e un atleta spagnolo, Juanpe Lopez della Lidl Trek, festeggiare il successo in classifica generale. Tutto ciò è stato accompagnato, in ciascuno dei tre territori che sono stati coinvolti dalla manifestazione (Trentino, Alto Adige e Tirolo che formano l’Euregio), da un meteo ballerino, da una buona affluenza di pubblico e, in particolare, da un’organizzazione puntigliosa e di livello che ha permesso al TotA di scivolare via in maniera piacevole e farsi apprezzare sia in loco che in tv per chi lo ha seguito da casa.
Tale risultato, ovviamente, non è il frutto del lavoro di una o poche persone ma dell’impegno in sinergia profuso da una squadra competente e attrezzata, pronta a muoversi con calore e precisione per mettere in piedi, coi mezzi e le possibilità a propria disposizione, la miglior corsa possibile. A coordinare questo team anche quest’anno ha provveduto Maurizio Evangelista, General Manager sempre presente e autentico tuttofare, con il quale, terminata la corsa, abbiamo stilato un bilancio del TotA 2024 e cercato di capire quali prospettive abbia l’evento per il futuro.
Maurizio, qual è il suo bilancio del Tour of the Alps 2024? Quali sono le sue considerazioni sull’evento, sull’organizzazione e sullo spettacolo a cui abbiamo assistito?
«Direi che dobbiamo ritenerci contenti di come è andata e i motivi per esserlo sono diversi: abbiamo portato a casa una bella corsa con molto pubblico, abbiamo raccolto un sacco di consensi - e non parlo degli apprezzamenti di cortesia ma testimonianze di soddisfazione concreta da parte delle località che ci hanno ospitato - e, soprattutto, abbiamo fatto un ulteriore passo in avanti nel percorso di crescita della nostra organizzazione. Abbiamo infatti potenziato la struttura tecnica che si occupa della gestione, del presidio e degli interventi di messa in sicurezza dei percorsi, tant’è che quest’anno ho avuto per la prima volta la sensazione di avere davvero il totale controllo dei tracciati, ma non solo. Per venire incontro alle esigenze di un evento che, oltre alla corsa, oggi comprende anche tanto altro e che proprio per questo necessita di un team di persone dotate del giusto abito mentale, della giusta flessibilità, della giusta capacità di interscambio e mutuo aiuto, abbiamo ulteriormente migliorato anche lo staff organizzativo. Queste sono tutte cose che magari dall’esterno si vedono poco ma per noi contano molto. Secondo me abbiamo espresso, per chi lo sa capire, una forza e una capacità davvero notevoli per un’organizzazione come la nostra che non è gigantesca. Da questo punto di vista credo che siamo veramente molto avanti, non ancora come vorrei, ma il livello raggiunto è alto».
Ecco, cos’altro bisogna fare a suo avviso? Quali passi bisogna ancora compiere per arrivare a quella che è la sua visione di corsa?
«Il prodotto corsa che noi esprimiamo francamente non è molto diverso da quello che io penso sia l’ottimale. Sappiamo di avere una collocazione che è buona ma non ottima e che quindi non ci premia del tutto. Questo è un evento che molte più squadre sarebbero liete di onorare e che meriterebbe ancora di più a livello di partecipazione ma questo risulta difficile a causa degli incastri di calendario e delle nuove metodiche di allenamento usate per preparare i grandi appuntamenti. Da questo punto di vista, infatti, i ritiri in quota come quelli al Teide hanno tolto molte opportunità a tante manifestazioni. Perciò, pur essendo contenti, siamo consapevoli del fatto che con questa data più di questo non possiamo fare».
E quindi?
«E quindi per fare di più non ci nascondiamo: vogliamo entrare nel calendario World Tour. Crediamo di esserne all’altezza. Per farlo però abbiamo bisogno di sapere dove andiamo a sbattere la testa e capire che opportunità si possono aprire con la riforma dei calendari, cosa che al momento ancora non mi è chiara. Perciò, ammesso e non concesso che verremo ritenuti idonei per farne parte, è da comprendere se il salto di qualità sarà accompagnato da una collocazione in calendario sensata, che tenga conto delle strategie dei nostri territori, delle caratteristiche dei luoghi dove ci troviamo e del meteo. A questo proposito, noi ormai da tempo abbiamo deciso, col nostro format, di non avventurarci in quota perché non serve a niente. Guardate quest’anno: in Austria eravamo al limite e non siamo arrivati a 1700 metri di altitudine. Noi non dobbiamo fare l’epopea, non siamo quelli che devono andare sullo Zoncolan. Ciò che dobbiamo fare è essere realisti, consapevoli dei luoghi in cui corriamo, della stagione in cui gareggiamo e dei rischi che affrontiamo. Ad oggi il format che abbiamo produce ciò che desideriamo, ovvero una corsa selettiva, bella e spettacolare anche senza andare a toccare i 2.000 metri. La quota non cambia la bellezza della corsa, il fatto di non andare sul Pordoi non toglie valore all’evento che, per quello che riesce a esprimere, già così è bello di suo».
Anche perché poi, come spesso si suol dire, sono i corridori a fare la corsa.
«Certo, ma anche le organizzazioni. Se con i percorsi che proponiamo si parte a tutta fin dal via, dal punto di vista del prodotto televisivo le nostre tappe sono perfettamente congruenti a quello che è l’obiettivo. Ecco, su questo fronte non penso ci siano molti passi in avanti da fare perché sono sicuro che la nostra scelta, ossia quella di organizzare frazioni brevi, intense, con circuiti e arrivi cittadini evitando di andare a quote troppo alte, sia quella giusta».
Quindi l’ambizione, se appunto ci saranno le giuste condizioni, è quella di arrivare al World Tour.
«Indubbiamente, ma più che ambizione parlerei di conseguenza naturale del percorso che abbiamo intrapreso. Per essere una piccola organizzazione, credo che la nostra crescita abbia come sbocco naturale solo questo risultato. Poi, certamente, possiamo anche rimanere a questo livello e standardizzarci, ma penso che in fondo non sarebbe neanche tanto giusto... ci sono molte organizzazioni che invece di progredire vanno indietro. L’organismo internazionale dovrebbe valutare queste cose, cercare la qualità laddove è davvero presente e non dove si fa finta che ci sia, soprattutto in tema di sicurezza».
Il TotA ha il merito di unire comunità diverse di zone diverse. Come si è evoluta la cooperazione territoriale?
«Enormemente ma non c’è nessun segreto in questo, solo tanto lavoro e soprattutto la capacità di riuscire a farsi capire. I primi anni, coinvolgendo tre territori diversi tra loro non solo da un punto di vista culturale ma anche di cognizione del ciclismo, non era semplice andare in Alto Adige e in Tirolo e dire “vi portiamo una tappa”. Oggi succede praticamente il contrario e quelle realtà si sentono talmente coinvolte in quello che facciamo che quasi si riscontra più entusiasmo in quelle regioni che altrove. Quando selezioniamo le sedi, percepiamo fin da subito come tutti siano pronti a lavorare insieme in quella che per loro è una sfida molto sentita. La rotazione tra le località quindi, ad oggi, non è un problema, non abbiamo difficoltà a trovare sedi di tappa perché ogni anno ve ne sono di nuove che si candidano. Questo sta a significare che abbiamo seminato bene, comunicando con le persone senza arroganza, con grande disponibilità e propensione al dialogo. È così che siamo riusciti a costruire rapporti davvero buoni e ad instaurare collaborazioni anche molto empatiche e affettuose in certi casi. Quando cerchiamo di coinvolgere la gente, ci riusciamo quasi sempre ed è questo ciò che conta, quello che più ci preme. Tutto questo ha portato anche a un rovescio della medaglia ovverosia che il TotA è diventato un po’ più largo e comincia ad avere qualche piccolo problema logistico e di capienza: se una volta in piccoli comuni potevamo ospitare una partenza o un arrivo senza problemi, oggi abbiamo difficoltà a farlo. Ovviamente non siamo il Giro d’Italia e nemmeno ci avviciniamo a esserlo, però fondamentalmente abbiamo lo stesso tipo di problematica. Alcuni dei mezzi che noi utilizziamo infatti sono gli stessi che vengono usati al Giro: magari noi possiamo impiegarne tre e loro dieci ma il problema di farli passare in certi posti è il medesimo. Dunque, se facciamo scelte troppo ardite in termini di raggiungibilità di certe località, rischiamo di farci male da soli. Noi adesso abbiamo bisogno, e non sempre ne disponiamo, di un viale d’arrivo piuttosto importante e di una piazza nelle vicinanze: questa è la situazione ideale che ci consente di disporre tutte le nostre strutture e svolgere tutte le nostre attività collaterali, dal coinvolgimento delle scuole alla promozione delle realtà locali. Senza questi spazi fatichiamo molto a farlo, diventa difficile mettere in piedi una manifestazione che giri bene e, ovviamente, non possiamo trascurare le attività che ho menzionato perché è anche con quelle che alla fine siamo riusciti a non farci malvolere. Le piccole società locali infatti possono essere portate a vederci come quelli che tolgono a loro delle risorse ma dialogando con loro e mettendo magari sul tavolo la possibilità di organizzare qualcosa assieme, l’atteggiamento cambia. Questo è il modus operandi che abbiamo adottato per farci accettare e, se vogliamo, anche per farci ben volere».
Guardando i dati, l’accoglienza ricevuta, la gente presente e tutto ciò che avete creato, evidentemente ci siete riusciti.
«Sì e soprattutto è cambiata, cosa che vediamo già durante le fasi preliminari e i sopralluoghi, la percezione che c’è dell’evento. Questo anche grazie a tutte le presentazioni, gli eventi e le attività di arredo urbano e promozione locale che organizziamo. Quest’anno abbiamo tentato nuovi esperimenti come, ad esempio, la riuscita collaborazione con il club di calcio Sudtirol, una formula che probabilmente l’anno prossimo riproporremo negli altri due territori coinvolgendo magari l’Aquila Basket a Trento e un club di hockey a Innsbruck. Queste sono tutte operazioni, come anche la pedalata che abbiamo organizzato in occasione dell’ultima tappa a Levico Terme, che ci aiutano a esportare le nostre conoscenze e a costruire relazioni migliori con persone che magari non serviranno mai, ma che è importante che abbiano un percepito, un’idea che il TotA, come dice Daniel Oss, sia wow».