di Carlo Malvestio
Quasi all’improvviso, il ciclismo italiano sembra essersi ritrovato in casa un corridore, giovane, che può ambire a fare alta classifica in un Grande Giro, quello che ormai tutti cercavano e bramavano da anni. Negli ultimi tre mesi Antonio Tiberi ha fatto un salto di qualità importante, trasformandosi da promessa a realtà e palesando un livello in salita che non vedevamo da un po’ in un giovane azzurro. Al Giro di Catalogna ha chiuso all’8° posto, centrando una Top 10 che nelle ultime otto edizioni si era portato a casa solo Giulio Ciccone lo scorso anno. E poi ha chiuso sul podio il Tour of the Alps, risultato che un atleta italiano non centrava dal 2019 con il solito Vincenzo Nibali. Infine, è stato il miglior italiano sul traguardo della Liegi-Bastogne-Liegi (22°), pur correndola a disposizione dei compagni.
Certo, ancora non ha fatto nulla ed è inutile caricarlo di troppe aspettative, visto che in carriera ha una sola vittoria (una frazione del Giro di Ungheria 2021), ma i segnali captati da parte sua e dal suo entourage alla Bahrain Victorious sono più che confortanti.
Per caratteristiche, Antonio sembra particolarmente portato per le corse di tre settimane, ha doti di fondo e recupero, va forte a cronometro e, recentemente, come detto, ha alzato notevolmente il suo livello quando la strada sale. Ancora qualche giorno di attesa e scopriremo se è davvero così. Intanto la Bahrain Victorious gli ha assegnato i gradi di capitano per il Giro d’Italia 2024.
Antonio, ormai ci siamo. Come stai?
«Mi ritengo super soddisfatto delle sensazioni che ho provato sia al Tour of the Alps che alla Liegi-Bastogne-Liegi. Il TotA è stata la prima gara di ritorno da un periodo di altura e mi sono trovato subito a mio agio, il che mi lascia davvero ben sperare in vista del Giro d’Italia».
L’avvicinamento al Giro, quindi, è andato alla perfezione?
«Direi di sì, non c’è stato nessun intoppo. Puoi anche lavorare al meglio, però poi è il confronto con gli avversari a dirti se davvero hai lavorato nel modo giusto. E direi che per quanto ho visto al TotA, la strada tracciata è assolutamente quella migliore».
Dalla Volta a Catalunya in poi ti abbiamo visto su livelli che finora non avevi mai raggiunto.
«Sì, è vero. La Tirreno-Adriatico è stata di fatto il mio primo appuntamento stagionale (aveva corso solo la crono farsa della Vuelta a Andalucia, ndr) e l’ho usata per mettere tanta fatica nelle gambe. Nella frazione finale di San Benedetto del Tronto sono stato tutto il giorno in fuga e ho chiuso quella settimana che ero davvero sfinito, svuotato. Però poi i benefici li ho avvertiti subito in Catalogna, anche se nel primo arrivo in salita a Vallter 2000, in realtà, avevo sofferto, non so se per il freddo o per la quota, ma ai -2 km dal traguardo mi si è completamente spento il motore. A Port Ainé, invece, dove ho chiuso terzo dietro a due grandi nomi come Pogacar e Landa, ho capito che il lavoro cominciava a pagare. Lì per la prima volta sono riuscito a stare al passo di alcuni dei migliori scalatori del mondo».
Che sensazione è stata?
«Bella, senz’altro. Perché vedi che i lunghi periodi di altura, di ritiro e di allenament finalmente cominciano a restituirti qualcosa e capisci che il lavoro, alla fine, se fatto bene, può davvero farti svoltare. E poi ti carichi, ti motivi, e non vedi l’ora di migliorare ancora».
A proposito, hai raggiunto un livello eccellente in salita. Puoi ancora crescere?
«Per il lavoro che sto facendo, in termini di allenamento e di vita da corridore professionista, credo di sì… ho l’impressione di avere ancora margini di miglioramento».
È il tuo primo Giro, eppure sei tra gli italiani più chiacchierati. Ti pesa?
«No, per nulla. Ho la fortuna di essere uno molto molto tranquillo di carattere, qualsiasi situazione venga a crearsi. Anzi, il fatto che si parli di me mi fa piacere e mi spinge a fare di tutto per cercare di confermare quanto di buono si dice».
E allora come te lo sei immaginato il tuo primo Giro d’Italia?
«Innanzitutto spero non ci siano trappole da qui all’inizio del Giro, che tutto vada per il meglio e che io possa arrivare a Torino nelle condizioni migliori. Per quello che ho visto in queste ultime gare ci sono i presupposti per sognare di fare un gran bel Giro. Tolto Pogacar, che ha proprio un altro livello, con gli altri ritengo di potermela giocare, quindi credo che una Top 10 sia assolutamente alla mia portata. Maglia Bianca? Perché no, ma l’obiettivo primario rimane fare una buona classifica generale».
Da questo punto di vista quanto è stata importante la Vuelta a España dell’anno scorso?
«È stata importante, sì. L’avevo cominciata non nelle migliori condizioni perché avevo avuto una leggera tendinite ad agosto, quindi per i primi 10 giorni ho sempre inseguito la condizione, ho sofferto, e ho preso una bella scoppola nel primo arrivo in salita, che poi mi ha precluso la possibilità di lottare per una Top 10 (ha chiuso alla fine 18°, ndr). Da metà Vuelta in poi, però, la gamba ha cominciato a girare e nelle fasi importanti di gara ero sempre lì, a ridosso dei migliori. Quei giorni mi hanno fatto capire che quello poteva essere davvero il mio terreno».
Pogacar a parte, chi pensi possano essere i tuoi rivali più insidiosi?
«Sinceramente non ho studiato in maniera dettagliata i miei avversari, credo che li scopriremo strada facendo. L’unica cosa che al momento mi basta sapere è che c’è Pogacar e la sua presenza condizionerà in maniera inevitabile tutta la corsa. Non so come si muoverà, ma si muoverà di sicuro e per noi pretendenti alla classifica generale, dal punto di vista tattico sarà tutto abbastanza chiaro fin dall’inizio. Riuscire a seguire Tadej il più a lungo possibile potrebbe di fatto già garantirti un importante piazzamento, quindi è quello che cercheremo di fare».
La tappa che ti piace di più?
«Ce ne sono diverse, in primis le due cronometro di Perugia e Desenzano del Garda, che sono anche già andato a studiare. Poi mi piace molto la frazione di Livigno, durissima, e non mi dispiace anche quella finale con il doppio Monte Grappa».
La prima cosa che ti viene in mente pensando al Giro?
«Così, a primo impatto, ho pensato alla vittoria di Vincenzo Nibali sotto la neve sulle Tre Cime di Lavaredo. Ero un ragazzino, ma è un gran ricordo».
Con te ci saranno anche Damiano Caruso e Wout Poels. Quanto si impara da corridori così?
«Siamo un trio già collaudato, visto che l’anno scorso abbiamo corso insieme la Vuelta. Damiano è un grande maestro, mi ha aiutato a gestire vari momenti in corsa e fuori, quando e come muovermi all’interno di una tappa e poi come recuperare al meglio una volta terminato tutto. Con Wout abbiamo corso tanto insieme anche quest’anno, quindi siamo già collaudati ed affiatati».
E giù dalla bici com’è il vostro rapporto? Hanno 15 anni più di te…
«Ottimo, soprattutto con Damiano. Ho passato tanto tempo con lui da quando sono arrivato qui in Bahrain Victorious, tra ritiri e corse siamo stati spesso compagni di camera, e la squadra mi ha subito affidato alla sua esperienza. Nonostante la grande differenza di età andiamo molto d’accordo, anche perché Damiano è proprio giovane dentro, allegro e scherzoso, sempre con la battuta pronta».
Dove passerai questi ultimi giorni che ti separano dal Giro?
«Dopo la Liegi sono rientrato a San Marino e sono stato in ricognizione sui percorsi della cronometro di Perugia e della tappa dei muri marchigiani. Poi sono andato a Roma dalla mia famiglia per qualche giorno, pedalando sui percorsi che ho sempre fatto fin da quando ero bambino, con un po’ di dietro-moto con papà».
Sta salendo l’adrenalina?
«Per me questa sensazione di attesa di un Grande Giro è un po’ nuova, perché pur avendo corso due volte la Vuelta mai mi era capitato di arrivarci con questa concentrazione e motivazione, sapendo di dover fare il capitano. Sono giornate delicate, di massima attenzione a tutti i dettagli. Bisognerà andare forte fin da subito. Ma non ho dubbi, sono pronto».