Salvator Truglo: «Stella Yu ci ha chiesto ricerca e innovazione: è nata Prologo e ora con "My owen Pressure Map...»

di Pier Augusto Stagi

Preambolo premessa, ma an­che introduzione, spesso dell’autore. Nella premessa ci può essere anche un antefatto, da cui parte il tutto narrativo. In questa intervista c’è anche un prologo, esattamente questo, atto a introdurre il personaggio del mese, il nostro Capitano Coraggio­so, Salvatore Truglio, amministratore delegato di Prologo.
Ultimo di quattro figli, Salvatore nasce l’11 marzo del 1969 dall’amore di mam­ma Maria e papà Carmelo, che avevano già dato alla luce Betty, Rosy e Nina. Papà nel 1968 si trasferisce da solo a Bellusco, in Brianza, alle porte di Milano dove già c’erano amici e pa­renti emigrati dalla Sicilia in cerca di fortune e di un po’ di agiatezza. Papà Car­melo trova lavoro come operaio alla Gilera e dopo due anni viene raggiunto da mamma Maria con tutti e quattro i figli, Salvatore compreso, che di anni ne ha solo uno.  
«Anni duri per i miei, non per noi bambini che cresciamo nella spensieratezza della nostra età - racconta Sal­va­to­re Truglio, il signor Prologo, sposato con Katia Marchetti, fashion designer -. Come ero? Vivace, molto vivace, diciamo pure con l’argento vivo addosso. Sempre in movimento, sempre a rincorrere una palla. Cresco con il grande sogno di diventare un giorno un campione di calcio, come tanti ragazzini della mia generazione. Ma in quegli an­ni divento anche un tennista, visto che ho la fortuna di vivere l’epopea di Pa­natta & C. che per la prima volta nella storia si aggiudicano l’ambita insalatiera della Coppa Davis. In precedenza, prima del pallone o co­munque prima che raggiungessi l’età giusta per entrar a far parte di una società di calcio, mi dedico alla corsa campestre. Sono an­che bravino: tipo scattante e resiliente. Prima gara 4°! Poi, però, torno al mio vero amore: il calcio».
Ruolo?
«Centrocampista: mi è sempre piaciuto mettermi a disposizione della squadra per mandare in gol i miei compagni. Mi è sempre piaciuto avere visione e organizzare il gioco».
Oggi è anche un po’ allenatore…
«Un amministratore, un manager è chia­ramente una sorta di coach: devi mettere tutti nelle condizioni ideali per poter poi rendere al massimo».
Una sorta di Andrea Pirlo…
«Quello della Juventus, chiaramente, la mia squadra del cuore. Sì, Pirlo mi piace: grande classe, grandissima personalità e visione di gioco. L’ultimo dei grandi».
Le scuole?
«A Bellusco, paese di 5 mila anime. Elementari, medie e poi il diploma di odontotecnico conseguito alla Cesare Correnti di Milano. Il primo impiego nell’anno del diploma: 1989. Vado a fare in pratica il “garzone”, l’apprendista, chiamatelo come volete, in un laboratorio odontotecnico e mi trovo a fare modelli in gesso. Nel 1990, però, arriva la cartolina rosa…».
Si va a naja: c’è da assolvere il militare.
«Esatto. Finisco a Roma come autiere e mi mettono al servizio di generali, politici e funzionari che devono essere scarrozzati in giro. Nel 1991 mi congedo e finisco alla Dall’Oca di Arcore, uno studio dentistico e di odontoiatria molto quotato nel quale faccio tre anni di grande formazione. Avevamo clienti importanti, che andavano da Silvio Berlusconi ai Pooh, oltre a moltissimi personaggi dello spettacolo, ma ad un certo punto però capisco che quella non è la mia tazza di the».
Scusi, ma la bicicletta quando entra a far parte della sua vita?
«Quando Claudio Marra, il signor FSA, mi regala una bellissima Dart di alta gamma montata xt lx: comincio a pedalare e me ne innamoro».
Con il calcio ha chiuso…
«Vado avanti fino a 26 anni un po’ a fatica, anche perché a 16 anni mi rom­po i legamenti crociati e la mia vita sportiva da quel momento non è più la stessa. Arrivo comunque a giocare in promozione, buon livello, ma quello era ormai il mio livello, il mio limite».
Quindi…
«Pedalo, scopro il fascino della bicicletta, comincio a pensare che è arrivato il momento anche di cambiare vita, di fare qualcosa che senta più mio. Vo­levo viaggiare e incontrare persone, non passare le giornate in un laboratorio. Nel 1994 decido di fare un viaggio negli States, a Vail per la precisione, dove si stanno svolgendo i mondiali di MTB e trasformo la mia passione in la­voro. È in quei giorni che vengo a co­noscenza che c’è Tagliabue, un’organizzazione di vendita molto quotata dell’epoca, che cerca delle figure commerciali da inserire nel proprio organigramma. Loro rappresentavano marchi importanti come Columbus e 3T, Vit­toria e Selle Italia, Ofmega e Regina Rag­gi e io senza esitazione mi faccio avanti. Mando il mio curriculum, vado a fare un colloquio e mi assumono: mie le zone di Lombardia, Piemonte e To­scana. Dopo otto mesi, Columbus e 3T escono dalla Tagliabue e Paolo Erze­go­vesi, allora amministratore delegato di Columbus, mi fa una buona proposta e mi assume come commerciale Italia. Nell’arco di tre anni divento responsabile commerciale anche per i paesi latini e nel 2001 responsabile commerciale Europa di Gruppo, che nel frattempo aveva inglobato i marchi di Columbus, 3T e Cinelli».
Una bella escalation…
«Beh, lavorare con gente del calibro di Antonio Colombo, Claudio Marra e Lu­ciano Fusarpoli è stata per me davvero una grande fortuna: ognuno di loro è stato o è ancora un’eccellenza del mondo della bicicletta. E grazie a Claudio Marra, io ragazzino ambizioso e volenteroso, imparo tantissimo, arrivando ad un certo punto ad affiancarlo anche nelle sponsorizzazioni dei team. Nel frattempo, però, il mondo cambia: dall’acciaio si passa all’alluminio e poi al carbonio. Iniziano i problemi. Marra esce e va a fondare FSA, in Gruppo arriva Seghezzi per cercare di riposizionare l’azienda con scarsissimi risultati; a quel punto accetto la chiamata di De­dacciai. Passo a lavorare per la famiglia Locatelli, lì ci resto un anno e mezzo, ma soprattutto ho la fortuna di incontrare un altro uomo fondamentale per la mia crescita e la mia formazione professionale: Fulvio Acquati, persona di una cultura fuori dal comune».
Tanti incontri importanti…
«Che sono l’essenza della vita. Incon­trare persone come Antonio Co­lombo, visionario assoluto, è una delle fortune della vita. Così come avere a che fare con persone come Claudio Mar­ra o Luciano Fusarpoli, piuttosto che con un uomo di straordinaria umanità e cultura come Fulvio Acquati, so­no senza dubbio dei doni che la vita ti fa, ma tu devi avere la capacità e dico anche l’umiltà di capire che quelle persone non solo sono un dono, ma anche un’opportunità».
Per capirlo bisogna essere bravi.
«E forse lo sono stato, come quando ho incontrato un’altra persona fondamentale per la mia vita professionale: è accaduto quando la mia strada si è in­crociata con quella di Stella Yu».
La sua stella guida.
«Lavorativamente parlando sì. Stella Yu è stata un altro incontro pieno di tut­to. Lei è una donna di assoluto carisma, capace di partire da zero e creare un impero. Lavorava come assemblatrice di biciclette a Taiwan ed è stata la prima capace di esportare biciclette da Taiwan agli States. Oggi è una signora di 78 anni, capace e visionaria, che guida ancora con grande lungimiranza Velo Enterprise. Lei ad un certo punto ha la capacità di capire a Taiwan ci so­no le biciclette ma mancano gli ac­ces­sori, soprattutto non ci sono produttori che sanno fare le selle. Lei ha idee e coraggio: va dal suo capo e gli espone la sua idea. “Se mi dà fiducia, le selle le facciamo noi”. Ha carta bianca. Era il 1979 e oggi conta 2 mila dipendenti e una produzione di oltre 15 milioni di selle. Ha cinque fabbriche tra Taiwan, Cina e Vietnam. Bene, un giorno in­contro questa donna fantastica che pro­duceva selle per quasi tutti i maggiori marchi mondiali e mi sottopone la sua idea: ha intenzione di produrne con un suo marchio. Non solo vuole produrne, ma vuole che siano bellissime, frutto di ricerca e innovazione».
Quindi…
«Era maggio del 2005 e in quel periodo Stella Yu mi chiede di prepararle un “business plan”. A fine luglio la raggiungo a Taiwan dove la incontro e mi dice: ok, il progetto mi piace! Chiedo un budget e dopo soli quattro giorni ho il bonifico sul conto. Da lì parte tutto: foglio bianco, scriviamo la storia di Prologo».
Come nasce il nome Prologo?
«È una mia intuizione. Ce l’avevo in testa. Cercavo un nome che ci identificasse e visto che la vita è una corsa a tappe, il prologo è l’inizio di ogni Grande Giro. In verità il prologo è anche l’inizio di una nuova storia. Quindi l’idea di chiamarci Prologo convince subito tutti e queste indicazioni le forniamo ad una quotatissima agenzia americana. A loro spetta il compito di scegliere il carattere del mar­chio e ideare il logo. Così nasce anche la nostra Big O, la “grande O”, che poi è un cronometro. Nel frattempo avevo creato Velo Europe e registrato il marchio. Lavoriamo sulla gamma e al mondo ci presentiamo ufficialmente nel 2006 alle fiere di Milano e a Friedrichshafen. In quel momento avevo già un ottimo rapporto con Col­nago, in questo caso con Ernesto, il quale mi diede la possibilità di presentarmi il 31 agosto del 2006 in fiera con le mie selle, in particolare con la famosissima “Choice”, una sella con scocca intercambiabile che viene montata su tutte le biciclette Colnago e la stessa co­sa la facemmo con la Focus. In quel periodo iniziammo contestualmente anche la nostra collaborazione con la Milram e con la Tinkov che entrava nel ciclismo nel 2007».
Dove nasce la Prologo?
«Dove era nata qualche anno prima la FSA di Claudio Marra, la vecchia sede Rossin a Cavenago. Apro l’ufficio e la società era composta da me, punto. Fa­cevo il venditore, facevo l’amministratore, facevo il commerciale e anche la logistica. Di giorno andavo in giro a vendere il prodotto, la sera tornavo e an­davo in magazzino a preparare i cam­pioni. Dopo quattro mesi in cui ero uno e trino, prendo la mia prima impiegata: Barbara Sironi. Poco dopo arriva Nicola Vernaglione, che ho inserito per seguire anche la parte commerciale e di amministrazione. Con lui ab­biamo fatto quattro anni di sviluppo di prodotto e di marchio a livello internazionale, e la svolta arriva quando in­contro Bjarne Riis».
Scusi, cosa c’entra Riis?
«C’entra, eccome se c’entra. Era il team manager della CSC, in quel mo­mento la formazione di riferimento a livello mondiale. Bjarne è sempre stato considerato un perfezionista, uno che ha sempre ricercato il meglio. Io lo in­contro, gli illustro il nostro progetto e lui mi chiede dei campioni da far testare ai corridori. Chiaramente in un amen gli faccio avere tutto. Dopo dieci giorni mi manda un suo primo feedback, dove mi dice ciò che secondo lui bisognava migliorare. Mando tutte le osservazioni a Taiwan e nel giro di poche settimane ricevo l’up-dating e lo presento a Bjarne, il quale rimane sorpreso per la velocità. Fa i suoi test e le sue verifiche e mi chiede ancora qualche correttivo. Al terzo campione si convince che noi eravamo quello di cui aveva bisogno, per velocità, flessibilità e rigore. Però c’è un problema…».
Quale?
«La Cervélo. Per loro eravamo troppo giovani. Così Gerard Vroomen (olandese, che con il canadese Philipe White ha fondato la Cervélo, ndr) si mise inizialmente di traverso, ma con una sola telefonata Bjarne seppe aprirci ogni por­ta e da quel momento la nostra collaborazione con Gerard fu proficua e stimolante».
Tanti corridori, tanti campioni e tanti tester: chi i più preziosi?
«Tanti, perché fortuna vuole che abbiamo sempre avuto a che fare con grandi corridori. Ai tempi della Milram Ales­sandro Petacchi ha ricoperto un ruolo molto importante. Tante informazioni per migliorare il prodotto sono proprio arrivate da lui. Alessandro ci ha fatto capire l’importanza dell’ergonomia e delle forme: la posizione più o meno aggressiva. Ci ha dato davvero tanti in­put. Lui è stato uno dei primi, poi è arrivato Bjarne Riis, uno stimolatore seriale, tanto è vero che grazie a lui ab­biamo cominciato a lavorare anche sul­le selle da crono per Fabian Can­cellara. La prima l’abbiamo studiata appositamente per la crono nel 2009, in collaborazione con Fabian e Bjarne. In­se­rendo dei materiali antiscivolo, materiale grippante siliconico. Ed è in quell’anno che come Prologo festeggiamo la vittoria di tappa nel cronoprologo del Tour e la conseguente maglia gialla di Cancellara, che l’anno prima ci aveva già regalato la Sanremo. Sempre nel 2008, in ogni caso ed è bene ricordarlo, avevamo già vinto il Tour con Carlos Sastre, mentre alle Olimpiadi di Pechino facciamo incetta di medaglie. Con Chris Hoy arrivano tre ori olimpici e due mondiali. E sempre con Fa­bian Cancellara, l’oro olimpico nella crono».
Petacchi e Zabel, Cancellara e i fratelli Schleck, poi Tom Boonen e Contador Wiggins e Froome.
«Come le ho detto la lista dei campioni con i quali abbiamo collaborato, misurato e abbiamo sviluppato i nostri prodotti è lunga. Con Alberto abbiamo vin­to tutto, come del resto con la Sky. E un corridore come Peter Sagan non è stato da meno. Per lui, tanto per farle un esempio, abbiamo creato una sella che potesse ridurre tutti i picchi di pressione nella zona prostatica non per­ché Peter avesse un problema, ma perché lui esigeva costantemente com­fort. Tra i nostri tester di riferimenti non posso però trascurare Matej Mohoric, ragazzo di rara intelligenza e di assoluta sensibilità, sia umana che tecnica».
Oggi siete a fianco di Tadej Pogacar.
«Il massimo. Un campione a tutto ton­do, capace di conquistare corse e simpatie per il suo carattere. Con Tadej abbiamo sviluppato e lanciato nel 2019 la prima sella corta sul mercato (assieme a Specialized, ndr), oggi è il trend di tutti. Ancora una volta abbiamo ri­voluzionato il modo di pensare la sella. E oggi abbiamo la Nago R4, la sella con la quale Tadej sta correndo e con la quale affronterà il prossimo Giro d’Italia».
La ricerca è comunque nel vostro Dna.
«È quello che ci ha chiesto sin da subito Stella Yu. Potevamo puntare sui vo­lumi, ma lei ha chiesto immediatamente ricerca e sviluppo: voleva performance e qualità. Nel 2012, tra le tante cose fatte in questi anni e che hanno contribuito a scrivere la nostra storia e non solo, c’è il progetto CPC - Con­nected Power Control -, un polimero in 3D da noi brevettato che garantisce prestazioni e comfort attraverso assorbimento delle vibrazioni, grip e stabilità di posizione. Pensi che questo progetto lo presentammo a Riis e lui lo volle in esclusiva. Prima di allora questo materiale era stato utilizzato solo in F1 e in campo militare».
Per la serie: addio cartavetrata.
«Esattamente».
Quando era ragazzo seguiva il ciclismo?
«Ho cominciato nel 1994, quando sono stato negli States. L’anno di Pantani, che è stato il mio primo grande amore, unitamente a Mario Cipollini, uomo di una sapienza tecnica profondissima. Ricordo tutti gli spunti che mi dava per migliorare il prodotto. Con Mario ho avuto ottimi rapporti quando lui correva con le Specialized».
La corsa dei sogni?
«Il Giro delle Fiandre».
Ha un colore?
«Il blu».
Il fiore?
«La rosa».
Il film?
«The Godfather, il Padrino, ma anche I tre giorni del condor e tutti i James Bond della storia».
La musica?
«Amo il rock, il mio gruppo di riferimento sono stati gli U2: ora ascolto i Coldplay».
Italiani?
«Ascolto da Battisti a Salmo».
L’attore?
«Italiani Stefano Accorsi e Pierfran­ce­sco Favino, straniero Robert De Niro e Robert Redford».
Attrice?
«Scarlet Johansson, Angelina Jolie e Monica Bellucci».
Letture?
«Leggo riviste di settore».
Passioni?
«La bicicletta, unitamente alla cucina e ai viaggi».
Cucina?
«No, ma mangio e amo mangiare bene. Ma la vera passione solo le macchine sportive».
La macchina per eccellenza?
«Una Aston Martin».
Ha un sogno?
«Ne ho tanti, anche se ne ho realizzati diversi e uno è prossimo a realizzarsi. Con l’università di Pisa abbiamo sviluppato “MyOwn Pressure Map”, un ulteriore passo in avanti in favore della scelta ottimale della sella. MyOwn Pres­sure Map si basa sulla mappatura delle pressioni che si generano sulla sella, grazie ad un software sviluppato appunto in collaborazione con l’Uni­versi­tà di Pisa.  Sarà un prodotto distribuito ai dealer e ai biomeccanici. Da questo mese sarà possibile quindi an­dare in un negozio e, grazie ai questi tappetini a sensori messi sulla sella, capire se quella scelta è giusta e soprattutto se è posizionata in modo corretto».
Insomma, un tappetino a sensori come prologo per scegliere la giusta Prologo.
«La sintesi mi sembra perfetta».

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