Silvia Persico: «Niente cross, voglio andare a Parigi»

di Gulia De Maio

Non essendo un’attrice, non si sarebbe mai aspettata di vincere un Oscar, invece Silvia Persico si è laureata miglior ciclista azzurra del 2023 e ha conquistato l’Oscar tuttoBICI Gran Premio Alé Cy­cling. La giovane bergamasca della UAE Team ADQ ha meritato il successo finale scalzando dal suo trono Elisa Longo Borghini, la campionessa italiana che ha vissuto una stagione difficile e deve accontentarsi del terzo posto, preceduta anche da Chiara Consonni, grande amica di Silvia e sua compagna di squadra.
L’ambita “statuetta” che ha meritato al pari di Filippo Ganna, ora fa bella mostra di sé nella sua casa in Fran­cia­corta, a Passirano, e fungerà da stimolo in vista del nuovo anno. Un anno speciale in quanto olimpico, un anno  che la ventiseienne di Alzano Lom­bar­do preparerà rinunciando al suo amato ciclocross per rincorrere un pass a cinque cerchi che è il sogno di qualunque atleta.
Silvia, come è stata la stagione che ci sia­mo messi alle spalle?
«Con alti e bassi, mi aspettavo di più soprattutto negli appuntamenti più im­portanti. Al Tour de France ero convinta di potermi mettere in luce nelle tappe a me adatte e al mondiale su strada sono arrivata con le batterie scariche (nel 2022 fu di bronzo in Australia, alla prima partecipazione, alle spalle di Van Vleuten e Kopecky, ndr). Tutto sommato non è andata male, altrimenti non saremmo qui a parlarne. Mi di­spia­ce che “la Longo” abbia dovuto af­frontare un periodo complicato a livello fisico, io come tante la prendo come punto d riferimento, e se la sua annata fosse filata via più liscia ce la saremmo giocata. L’Oscar tuttoBICI è un riconoscimento importante, ne sono orgogliosa».
Con chi lo devi condividere?
«Con la mia famiglia: mamma Gabriel­la, papà Gianfranco e i fratelli Davide, che corre per la Colpack Ballan, An­drea classe 1991 che ha smesso alle porte del dilettantismo e lavora come architetto, Simone che ha corso fino alla categoria allievi e ora è elettricista, e Chiara che con la bici ha smesso da G5 e adesso fa la parrucchiera. Chi più e chi meno abbiamo corso tut­ti, poi ognuno ha preso la sua strada. Io mi sono innamorata del ciclismo a 7 anni guardando alcuni bambini sfrecciare nel ciclodromo di Cene. Il 25 lu­glio 2004 papà mi regalò la mia prima bici, per il compleanno. Per questo Oscar un grazie va anche alla squadra che mi ha sempre supportato al meglio e in particolare al mio coach Davide Ar­zeni».
Qual è stato il momento migliore e il peggiore del tuo primo anno in un team World Tour?
«Il top è stato la vittoria alla Freccia del Brabante, il flop alcune tappe al Tour in cui mi sono sentita davvero esausta. Ho iniziato il 2023 a gennaio con il quarto posto al mondiale di cicloross e ho finito con la medaglia d’argento ottenuta al mondiale gravel ad ottobre. Amo tutte le discipline che pratico, quest’inverno ho deciso di non correre la stagione di ciclocross per concentrarmi sulla strada e cercare di arrivare più fresca all’estate: quest’anno sono arrivata a maggio già stanca. Prima del mondiale di cross avevo pre­so un virus intestinale che mi aveva costretto a stare 10 giorni senza bici, poi sono andata direttamente alla rassegna iridata di Benidorm e all’UAE Tour. Sono tornata a casa dalla corsa a tappe negli Emirati che ero ko. Ho do­vuto “rincorrere” la condizione per il resto della stagione o quasi perché non avevo recuperato al cento per cento, nel 2024 non voglio commettere lo stesso errore».
Hai staccato dalla bici per..?
«Quasi un mese: 27 giorni per l’esattezza. Sono stata con la squadra al pri­mo bootcamp ad Abu Dhabi, poi a Parigi per la presentazione del Tour quindi in Spagna in vacanza. Ho ripreso a pedalare a novembre, alternando le uscite in bici con gli allenamenti in palestra e la corsa a piedi. Ho sempre corso, anche durante la stagione agonistica, quest’inverno ancora di più, se­guendo le indicazioni del mio nuovo coach. La squadra ha preferito che i direttori sportivi non ricoprissero più contemporaneamente il ruolo anche di allenatori così sono stata “assegnata” a Luca Zenti, preparatore di Verona».
Che obiettivi ti sei posta per l’anno nuo­vo?
«Mi piacerebbe volare a Parigi per i Giochi Olimpici, il sogno di ogni atleta, e prima farmi valere nelle Fiandre, alla Ronde in particolare, e ripetermi alla Freccia del Brabante. Il mio calendario inizierà con l’UAE Tour, la gara di casa per la squadra, in cui vogliamo far bene e che l’anno scorso ho chiuso terza in classifica generale. Un desiderio grande per la mia carriera è il mondiale. Vestire la maglia iridata deve essere speciale, quest’anno sono andata vicina al mondiale gravel in Veneto vinto dalla polacca Katarzyna Niewiadoma...».
Ti sei dovuta accontentare della me­daglia d’argento, battendo allo sprint l’olandese Demi Vollering, la nuova “cannibale” del ciclismo femminile.
«Fortissima e molto umile. Dei campioni attuali stimo in particolare lei e Tadej Pogacar, ma per lui possiamo dire che sono di parte (sorride, ndr). All’ul­ti­mo ritiro dell’UAE Team ab­biamo condiviso solo una pe­dalata insieme, per il re­sto formazione maschile e femminile avevano programmi diversi. I miei idoli da piccola erano Marianne Vos e Peter Sagan, simboli della multidisciplina. Io amo il ciclocross ed il gravel. Questa volta al cross rinuncio a malincuore ma nella stagione olimpica devo affrontare delle scelte per meritare la convocazione del CT Paolo Sangalli per la prova in linea a cinque cerchi. Per riuscirci devo essere più riposata».
A una bambina a cui oggi viene regalata la prima bici cosa diresti?
«Di divertirsi, c’è tempo per fare sul serio più avanti. Alle giovani ci­cliste consiglio di non strafare, di prendersi il giusto tempo, di risparmiare il motore per quando eventualmente il ciclismo diventerà il loro lavoro. In questo sen­so io sono stata for­tunata: al Team Val­car so­no cresciuta gradualmente».
Il 2023 è stato l’ultimo anno della squadra in cui hai militato dal primo anno da Esordiente al 2022.
«Sono stati dodici anni importanti. Valen­tino Villa e il suo gruppo di lavoro han­no fatto crescere me e tante altre atlete italiane, a loro va un doveroso grazie per i tanti sacrifici affrontati e per l’enorme passione dimostrata. Dispiace che il team si fermi, è un peccato per tutto il movimento femminile. Speria­mo possa sorgere qualche altro progetto per far crescere le giovani le­ve. Se non avesse chiuso i battenti, consiglierei a ogni atleta di trascorrere al­meno 1-2 anni in Valcar, una vera scuola di vita oltre che di sport».
Il ciclismo in Italia sta attraversando un momento difficile.
«Purtroppo è innegabile. Io, lo ripeto, sono stata molto fortunata perché ho avuto vicino a casa una bella realtà che mi ha permesso di crescere gradualmente. Ora le formazioni giovanili soffrono per mancanza di sponsor e personale. Invito le aziende di casa nostra a puntare sempre di più sul ciclismo, soprattutto quello femminile che continua a crescere. Spero si possa risollevare la situazione economica, che nascano nuove squadre, c’è bisogno di nuovi sponsor e persone per crescere».
Quando non pedala, che fa Silvia Persi­co?
«Cammina nella natura, scatta fotografie, sta con la famiglia. Non ho molto tempo libero, ma cerco di trascorrerlo con le persone care. Non sono un’appassionata di cinema, odio gli horror, né sono una grande lettrice. Nono­stante questo ho aderito all’iniziativa (facoltativa) del team bookclub: scelto un libro, leggiamo un capitolo e il giovedì ci ritroviamo per parlarne. Ora ab­biamo appena iniziato “Il leader che non aveva titoli”, le storie che parlano di leadership mi piacciono».
In cosa sei diplomata?
«Ho studiato Amministrazione, Finan­za e Marketing, insomma Ragioneria. Dopo le superiori mi ero ripromessa di prendermi solo un anno sabbatico, ma alla fine non ho più ripreso gli studi. Ogni tanto penso di iscrivermi all’università, mi piacerebbe studiare Fi­sio­terapia per sviluppare una professionalità che mi permetta di restare nel mon­do del ciclismo in una nuova veste, una volta che avrò smesso di competere».
In cucina come te la cavi?
«Vivendo da sola devo cucinare. Di­cia­mo che sono una cuoca nella media ed essendo un’atleta opto sempre per una cucina semplice. Il mio piatto preferito? La pasta, la mangerei tutti i giorni».
La tua paura più grande?
«Non ne ho. Per lavoro ho sempre a che fare con tante persone, quando so­no a casa da sola nel mio spazio sono felice».
Di cosa sei orgogliosa?
«Di me stessa. La piccola Silvia sarebbe fiera di dove sono arrivata finora».
Quando chiudi gli occhi, che cosa non perdi di vista?
«La bici. Tutta la mia vita è improntata su di lei».

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