di Pier Augusto Stagi
Al Principe di Savoia arriva attorno alle 17.30, accompagnato da Gabriele Uboldi, per anni angelo custode di Peter Sagan ma da qualche settimana anche di Filippo Ganna. Arriva all’ora dell’aperitivo, anche se il fuoriclasse piemontese si accontenta di un semplice bicchiere d’acqua naturale. «Devo prendere un antibiotico, sono a pezzi».
Occhi lucidi e voce roca; il sorriso però è quello di sempre. Pacato e riservato, il Pippo Nazionale dopo aver vinto l’Oscar tuttoBICI per due anni consecutivi come miglior Under 25 si aggiudica quello assoluto: è lui il simbolo del ciclismo italiano. È lui l’Oscar tuttoBICI 2023. Questo ragazzo mite e schivo, ha sempre lasciato parlare le sue fibre muscolari. Non lo sentirete mai fare promesse da marinaio, anche perché lui è uomo che non naviga, ma percorre strade e piste, sentieri e tratturi.
Come va Filippo?
«Ora mi sembra un pochino meglio, ma sono davvero KO. Devo aver preso freddo in questi giorni. Troppi viaggi, soprattutto in treno. Torno da Roma (venerdì 24 novembre, ndr), dove mi sono sottoposto agli esami Coni in chiave Parigi 2024 e già non ero in formissima. In treno mi sono addormentato tanto ero morto. Adesso sono un po’ frastornato, ma nel complesso sto bene. Sono soprattutto felice di essere qui alla Notte degli Oscar, a questa festa che celebra da tantissimi anni il ciclismo italiano, dal più piccolo esordiente ai più grandi».
Sei a quota tre, il primo da numero uno del ciclismo italiano.
«Sono davvero orgoglioso di rappresentare il movimento, di essere punto di riferimento. Se me lo avessero detto qualche anno fa, non ci avrei nemmeno creduto. Io mi sono sempre fatto guidare dalla passione, ma non sono mai stato portato a fantasticare. Non sono uno che va via con la fantasia, amo vivere appieno la mia realtà, che in certi momenti è davvero da sogno».
Oggi, però, sei tu che ci fai sognare: sono in tanti a credere in te. Sei tu il riferimento del movimento, il nostro Sinner.
«È una responsabilità, ma anche un onore. È una sensazione strana, ma davvero suggestiva. Nel ranking mondiale sono il numero 15, sarebbe bello il prossimo anno poter entrare a far parte della top ten».
Basterebbe migliorare alla Sanremo e alla Roubaix…
«Sarebbe bello poter tramutare qualche secondo in primi posti. Quest’anno sono stati dieci, se due o tre fossero tramutate in vittorie…».
Le vittorie si contano e si pesano…
«Le vittorie come Sanremo e Roubaix contano e quindi hanno un peso specifico inimmaginabile. Sono il tutto per un ciclista. Una di quelle fanno curriculum e storia».
Sei lì, non troppo lontano.
«Colmare quella distanza non è semplice, ma nella mia testa ho il desiderio di provarci. Chi fa il mio lavoro è abituato a spostare l’asticella sempre più in alto: dentro di me ho da sempre il desiderio di migliorarmi».
Come si fa a migliorare un oro olimpico?
«Si prova a rivincerlo, a riconfermarsi. È un obiettivo, grande, grandissimo, immenso, tutt’altro che facile e scontato. Proprio per questo sarebbe un’impresa, ma anche una medaglia non sarebbe poi male».
Meglio in compagnia (quartetto) o da solo?
«Meglio tutto. Quando si è lì è giusto provarci».
Prima però ci saranno le classiche di primavera…
«Ci sono e farò di tutto per essere al top della condizione. Bisogna essere bravi, ma anche fortunati. Tutto deve girare per il verso giusto».
La domanda alla quale non vorresti più rispondere?
«Pista o strada. Basta, faccio quello che mi sento di fare. Ho persone che mi vogliono bene e delle quali ho incondizionata fiducia. Poi sono io che faccio sintesi e che decido: amo la pista e la strada mi completa. Un Grande Giro? Non sono per la classifica generale, fatevene una ragione».
Per la sfida olimpica su strada, il pericolo viene da casa: Ineos.
«Tarling? È un talento assoluto, su questo non ci sono dubbi, ma i “pericoli”, come dici tu, sono tanti. Evenepoel credete davvero che non ci pensi e sia fuori dai giochi? Vedrete, ci sarà affollamento».
Una stagione dal rendimento elevatissimo, dall’inizio alla fine, con quella progressione impressionante nell’inseguimento mondiale di Glasgow…
«Anche lì avevo il “pericolo” in casa: Daniel Bigham. Una rimonta davvero bella. Sono in tanti che ancora oggi mi parlano di quella rimonta, di quell’ultimo giro e dell’emozione che ho fatto provare a tanti in quella circostanza. Sono felice di poter regalare momenti di gioia».
Tu quanto ti godi?
«Non lo do a vedere, non mi piace mostrare troppo i miei sentimenti, ho pudore, però è chiaro che godo di quello che faccio, altrimenti non inseguirei quegli obiettivi con tutto me stesso. Se una cosa non ce l’hai in testa, non riesci a raggiungerla».
Quest’anno ti sei scoperto anche velocista…
«Ho incominciato alla Sanremo, quando sono riuscito dopo 300 chilometri corsi alla morte a mettermi alle spalle gente che non è propriamente ferma. Ma è chiaro che non sono un velocista, ma un uomo che sa fare velocità, questo sì».
Sai fare tante cose…
«Anche le vacanze».
A proposito, quest’anno dove sei stato?
«Dal 22 ottobre al 5 novembre, sono stato una decina di giorni da Giovanni (Lombardi, ndr), in Colombia. Bello. Bellissimo. Ho staccato la spina da tutto e da tutti, mi serviva proprio. Mi sono davvero rilassato».
Quanto tempo senza bicicletta?
«Cinque settimane, anche se le mie sedute in palestra le ho sempre fatte. Ora però ho già ripreso bene, la nuova stagione è lì, davanti al mio naso».
C’è anche il Giro.
«Quest’anno il Covid mi ha rotto le uova nel paniere, voglio tornarci per provare a vincere una bella tappa, in linea, come ho già fatto. E poi non escludo altre sorprese. Il Giro è generatore di ambizioni».
Sa che la sommatoria di sogni e ambizioni è l’Oscar tuttoBICI?
«Lo so perfettamente. Se si va forte durante la stagione alla fine di tutto si arriva qui. E stare qui è bello. È il traguardo che dà senso a tanti traguardi».
Cosa vuole trovare sotto l’albero?
«La salute. Ma attorno all’albero vorrei anche la mia famiglia, i miei affetti, le persone che mi vogliono bene. Quelle di sempre: quelle per sempre».